Lo diceva perfino la pm di ferro Ilda Boccassini: alcuni magistrati «hanno usato le inchieste per "altro", per scopi diversi dalla giustizia». Una giustizia "politicizzata", che a volte colpisce e annichilisce chi, alla fine, riesce ad uscirne pulito. Ma solo alla fine. Certo, non sempre l'errore è strumentale. Ma a volte, lo ammette tra le righe anche la pm più agguerrita d'Italia, è così. L'archivio degli errori giudiziari è in costante aggiornamento. E tra comuni cittadini, abbandonati al proprio destino, ci sono molti politici. Che, seppure hanno forze diverse, devono subire il peso della gogna mediatica e politica. E Stefano Graziano, ex presidente campano del Pd, è solo l'ultimo della lista. Certo, sulla sua testa rimane ancora un'accusa pesante dalla quale difendersi: voto di scambio. Ma per i pm non c'è più agevolazione della camorra, non c'è, cioè, il patto scellerato con la malavita, accusa che ad aprile lo aveva portato ad autosospendersi dalla carica di presidente, uscendo dal gruppo e mandando in crisi il Pd in Campania, che alle amministrative di Napoli ha fatto cilecca. Ma Graziano è solo l'ultimo caso in ordine di tempo.Il caso Emilia - «C'è da chiedersi: che la golosità della preda abbia alterato le regole della caccia? », diceva al Dubbio, a giugno, Alessandro Gamberini, difensore dell'ex governatore dell'Emilia, Vasco Errani, assolto perché il fatto non sussiste, dopo un calvario lungo 7 anni, dallo scandalo "Terremerse". Uno scandalo che aveva trascinato l'Emilia-Romagna alle elezioni anticipate, con le dimissioni dell'ex governatore dopo la condanna nel primo appello del processo. Subito dopo, nel 2014, alla vigilia delle regionali, un altro scandalo: il deputato Pd Matteo Richetti, accusato di peculato, rinunciò alle primarie, diversamente dal suo sfidante, Stefano Bonaccini, in seguito prosciolto dalle accuse e poi eletto presidente della Regione. Primarie ed elezioni indette a causa di dimissioni evitabili. Così come la gogna, che invece fu implacabile."Why not"  - Dieci anni e tutti assolti per non aver commesso il fatto. Si è concluso così un troncone dell'inchiesta dell'allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris sui politici calabresi imputati in un processo per associazione a delinquere nell'ambito di un'inchiesta sui presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici in Calabria aperta nel 2006. Un'indagine molto più ampia, che coinvolse circa 150 persone e che portò alle dimissioni dell'allora Guardasigilli Clemente Mastella, alla caduta del governo Prodi e allo scontro fra le procure di Salerno e Catanzaro. Significative, però, sono le parole scritte dal gup Abigail Mellace nelle motivazioni della sentenza in abbreviato: quell'indagine, secondo il giudice, era il risultato di «un'operazione dal grande risalto mediatico». Per i politici e i manager coinvolti la condanna fu immediata: gogna mediatica e pubblico ludibrio.L'impresentabile De Luca - Un passo indietro di qualche mese ci porta a Vincenzo De Luca, governatore Pd della Campania. Su di lui si era scatenata la falce della presidente della commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, che lo aveva inserito nella lista degli "impresentabili" alle scorse regionali per la vicenda "Sea Park", il parco acquatico mai realizzato nell'area industriale di Salerno, dove aveva da poco chiuso l'Ideal Standard, che lasciò a casa 200 lavoratori. De Luca, all'epoca deputato, intervenne per accelerare i tempi per la cassa integrazione di quei lavoratori. L'inchiesta è partita ben 18 anni fa e il pm, dopo otto anni di dibattimento, ha chiesto l'assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere, abuso d'ufficio e falso perché «i fatti non sono sussistiti e non sussistono». Per lui, però, ci furono «anni di pesante aggressione politica e mediatica».Il "Sistema Sesto" - Altra vicenda clamorosa è quella che ha visto coinvolto l'ex presidente della provincia di Milano ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, Filippo Penati, assolto in primo grado dal tribunale di Monza perché il fatto non sussiste dalle accuse di corruzione sulla gestione dell'ex Area Falck di Sesto San Giovanni e finanziamento illecito dei partiti. Ma quando il suo nome finì su tutti i giornali, riempiendo pagine e pagine con parole altisonanti, rimase solo. «A suo tempo il Pd mi cancellò in fretta e furia - dichiarò dopo l'assoluzione -. Ma è sbagliato cedere alla gogna invocata dalla pubblica piazza. È ora che la politica si riprenda il suo primato, e stabilisca regole certe contro i furori di chi strumentalizza le inchieste». Tre anni di processi che hanno portato alla fine della sua carriera politica, terminati con un'assoluzione. Che non gli ha ridato ciò che gli è stato tolto.I grillini contro Venafro - Nell'inchiesta "Mafia Capitale" era comparso anche il suo nome. Maurizio Venafro, capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, era stato accusato di turbativa d'asta e rivelazione di segreto d'ufficio per aver favorito un imprenditore per la gara Recup (centralino unico prenotazioni). Lui si era subito dimesso dall'incarico, dichiarando la sua totale estraneità ai fatti. Ma il M5S ne aveva approfittato subito per lanciare la propria invettiva, ipotizzando un coinvolgimento della Regione Lazio nell'inchiesta. Qualche giorno fa, però, il tribunale penale di Roma ha assolto Venafro con formula piena. Il Pm aveva chiesto 2 anni e 6 mesi di carcere. «Ha combattuto nel processo, non ha mai concesso nulla alla polemica. Abbiamo avuto fiducia nella magistratura, meno nel mix tra una certa cattiva stampa e molta cattiva politica», ha commentato Zingaretti. Che per circa un anno si è sentito chiedere le dimissioni da tutti, dal M5S alla destra di Storace, passando per il Fatto Quotidiano. Oggi, però, quel castello di insinuazioni sulla corruzione all'interno del palazzo crolla. E anche le ricostruzioni fantasiose. Ma la gogna, nel frattempo, ha fatto il suo corso.Lo sceriffo Cioni - Hanno provato a chiedergli scusa. Ma non basta. Graziano Cioni, ex assessore Pd al Comune di Firenze, è stato assolto definitivamente dall'accusa di corruzione sulla trasformazione urbanistica dell'area di Castello. Il suo nome era stato inserito nel grafico della "piovra" che campeggia sul blog di Beppe Grillo. Un grafico preventivo, per il quale non vale il principio del "fino a prova contraria". Che ora c'è. Cioni «esce a testa alta da questi processi dopo otto anni di sofferenza», ha commentato l'avvocato Pasquale De Luca. Ma tre giorni dopo la sentenza del 6 maggio scorso, quel nome era ancora lì, alle spalle del deputato Alessandro Di Battista, intervenuto nel corso di una trasmissione su La7. Da qui la denuncia per diffamazione e la richiesta di un risarcimento di un milione. E le scuse. Tardive.