Ogni giorno, su queste pagine del Dubbio, denunciamo gli abusi e le gravi criticità che riguardano il nostro sistema penitenziario. Tuttavia, è necessario fare attenzione nel paragonare la situazione italiana a quella dell’Ungheria di Orban, attualmente soggetta a procedura d’infrazione europea per plurime violazioni dello Stato di diritto. L’immagine di Ilaria Salis con mani e piedi incatenati richiama da vicino ciò che avveniva nel nostro Paese fino a 30 anni fa. Si potevano vedere detenuti con le catene ai piedi, e non era raro osservare i reclusi che venivano condotti dal carcere alle aule di tribunale legati a una catena. Ma grazie alle battaglie delle organizzazioni dei diritti umani, delle forze politiche ( in particolare il Partito Radicale), e alle sentenze delle alte Corti, l'Italia ha compiuto significativi progressi. Se emergono abusi in questo senso, c'è la possibilità di denunciare e lottare affinché vengano perseguiti.

Partiamo dall’esempio relativo alla carcerazione preventiva. Mentre in Italia, fortunatamente, c’è un dibattito per evitare il suo abuso, anche se paradossalmente l’opposizione che critica il governo Meloni per essere amico dell’illiberale Orban preferisce che non si intervenga, in Ungheria la situazione è decisamente più grave. Il codice di procedura penale magiaro stabilisce che per reati punibili con oltre un decennio di carcere, come nel caso di Salis, la carcerazione preventiva può durare fino a quattro anni. Non solo, si può arrivare a una custodia cautelare in carcere di cinque anni per chi rischia l'ergastolo. Un altro esempio che richiede cautela nei paragoni riguarda il cosiddetto “fine pena mai”. Ricordiamo il dibattito in Italia sull'ergastolo ostativo. Mass media e gran parte della politica nostrana, soprattutto il Movimento 5 Stelle e la destra, hanno sollevato critiche e diffuso disinformazione pur di contestare le decisioni delle Corti europee e costituzionali che hanno dichiarato la violazione della Convenzione europea e l'incostituzionalità. Tuttavia, poiché siamo uno Stato di diritto, il governo è stato costretto a riformare la normativa.

In Ungheria, la legge consente l'inflizione dell'ergastolo senza possibilità di libertà condizionale. Nel caso László Magyar contro l'Ungheria del 2014, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che condannare un individuo all'ergastolo integrale violava il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti sancito dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Nonostante le evidenti violazioni dei diritti umani segnalate nelle sentenze contro l'Ungheria, il governo magiaro non ha adottato misure generali per affrontare tali violazioni né ha modificato le disposizioni legali pertinenti per prevenire futuri abusi simili. La procedura di grazia obbligatoria, che prevede la possibilità di liberazione dopo 40 anni di detenzione per i condannati all'ergastolo, persiste nel violare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La differenza tra l'Italia e l'Ungheria è notevole. Mentre l'Italia, anche controvoglia, ha adeguato l'ergastolo ai principi umanitari, il governo ungherese sembra disinteressato, tanto da essere soggetto a numerose procedure d'infrazione europee per le continue violazioni dello Stato di diritto.

Non siamo come l'Ungheria. La Legge del 1975 ha posto l'Italia all'avanguardia fra tutti gli altri paesi, molti dei quali vi si sono successivamente ispirati. Tuttavia, non ha avuto l'effetto sperato, specialmente per quanto riguarda l'effetto risocializzante del carcere, a causa della mancanza di adeguate risorse. I detenuti sono ancora troppo numerosi, e le risposte alle richieste di misure alternative sono troppo spesso negative, anche a causa di un clima culturale che impedisce ai cittadini di comprendere che la risocializzazione è nell'interesse della comunità, mentre il rischio di recidiva è molto alto quando tutta la pena viene scontata in carcere.

Gli assistenti sociali sono pochi, gli educatori sono in numero esiguo, e l'organizzazione dei Gruppi di osservazione e trattamento è quasi impossibile. Per quanto riguarda il sistema penale minorile, confrontato con altre realtà europee, emerge chiaramente il ruolo centrale svolto in Italia dagli interventi e programmi alternativi al carcere. Questo sistema posiziona l'Italia vicino a modelli come quelli di Finlandia e Paesi Bassi. L'Italia si distingue anche rispetto ad altri membri dell'Unione europea per il numero limitato di ragazzi presenti negli istituti minorili della penisola. La tendenza nostrana è di inserire i giovani autori di reato in strutture diverse dagli istituti penali per minorenni.

L'associazione Antigone, attiva dagli anni ' 80 e impegnata nei diritti e nelle garanzie nel sistema penale, ha sottolineato: «Le comunità svolgono un ruolo di rilievo nel sistema della giustizia minorile, un ruolo che si impone anche per quanto riguarda la parte della giustizia penale, permettendo misure cautelari meno afflittive del carcere qualora se ne ravvisi la necessità, o la possibilità di accedere a misure penali che presuppongono un domicilio anche in mancanza di adeguati sostegni familiari». Eppure, tutto ciò rischia di essere messo in discussione, di fare passi indietro e di cadere nell'oblio. Sebbene non siamo ancora giunti ai livelli ungheresi o russi, ciò è merito di coloro che denunciano, delle lotte non violente dei detenuti stessi, dei grandi scioperi della fame attualmente condotti dalla radicale Rita Bernardini e dal deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, delle associazioni dei diritti umani, e anche delle sentenze della Corte costituzionale e di Strasburgo. La politica potrebbe rimanere sorda, ma in questo Paese, prima o poi, le lotte pagano. E come già accaduto, il governo dovrà adeguarsi. Per ora, rispetto alla situazione ungherese, c'è ancora un argine al 'sovranismo giudiziario'.