Le intercettazioni che hanno portato all’arresto di Alfredo Romeo potrebbero essere illegittime, un’eventualità sulla quale il Tribunale del Riesame non ha svolto alcuna verifica. Pesano come un macigno le motivazioni della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha fortemente criticato l’operato dei giudici di Napoli che hanno valutato il ricorso avanzato dall’imprenditore contro gli arresti domiciliari, ai quali era finito dopo lo scandalo Consip. La Cassazione, lo scorso 8 marzo, ha rinviato ad una nuova sezione del Riesame gli atti, chiedendo una più approfondita valutazione dei motivi di ricorso presentati dai legali di Romeo, che hanno contestato i termini di durata delle indagini preliminari a carico dell’imprenditore, iscritto nel registro degli indagati «pur in assenza di una effettiva ' notizia criminis'».

Sono due le iscrizioni in questione: quella del 22 dicembre 2014 e quella del 13 febbraio 2015, per i reati di violenza privata e turbata libertà nella scelta del contraente - aggravati dalla volontà di avvantaggiare la criminalità organizzata - in relazione all’appalto del servizio di pulizia dell’ospedale Cardarelli di Napoli. La tesi della Procura era che la criminalità organizzata avesse messo gli occhi sull’appalto, ma l’indagine non riguardava Romeo e la sua società, bensì la ' Florida 2000', arrivata seconda in graduatoria. Secondo il Tdl, la necessità di verificare eventuali infiltrazioni nel settore degli appalti avrebbe indotto il gip di Napoli ad autorizzare le intercettazioni sul telefono di Romeo, in quel momento indagato dunque con l’aggravante mafiosa. Da qui è partita una lunga attività di monitoraggio, durata fino al 2016.

LE INTERCETTAZIONI

Il Riesame non avrebbe saputo spiegare però le circostanze che motivavano il collegamento tra Romeo e l’indagine, né la necessità di ricorrere alle intercettazioni. Necessarie, per il Tdl, «a prescindere dalla sussistenza di elementi indiziari nei confronti del soggetto intercettato». Insomma, Romeo risultava formalmente indagato per reati di cri- minalità organizzata, a prescindere dagli indizi a suo carico. Ma i decreti autorizzativi delle intercettazioni, afferma la Cassazione, devono «necessariamente» spiegare i motivi che le rendono necessarie, «indicando la base indiziaria del reato», affinché possa esserne verificata l’adeguatezza del mezzo rispetto alle garanzie costituzionali. Una verifica che va compiuta prima dell’autorizzazione, come «ineliminabile funzione di garanzia» perché, attraverso essa viene verificata «la sussistenza dei presupposti che legittimano l’adozione del mezzo di ricerca della prova». Il Riesame, afferma dunque la Cassazione, «non risulta essere stato adeguato e la motivazione è fortemente carente». I giudici avrebbero dovuto verificare la legittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, i collegamenti tra il reato di criminalità organizzata e Romeo e perché era «indispensabile intercettarlo». Ma non l’hanno fatto.

LA DURATA DELLE INDAGINI

Ma controverso è anche il punto relativo ai termini di durata delle indagini preliminare nei riguardi di Romeo. Secondo il Riesame, infatti, le due iscrizioni avrebbero indicato indagini per nuovi reati e non aggiornamenti di precedenti iscrizioni. In assenza di una proroga, dunque, secondo il Tdl, la continuità delle iscrizioni relative a distinti reati «renderebbe utilizzabili gli elementi indiziari» di indagini compiute dopo la scadenza dei termini. Una giustificazione, afferma la Cassazione, «viziata», in quanto una nuova iscrizione per fatti diversi «non può comportare lo spostamento in avanti della decorrenza del termine». Il Riesame si sarebbe limitato «ad indicare le date delle singole iscrizioni delle notizie di reato senza verificare» se i singoli atti di indagine «siano stati assunti entro il termine di durata delle indagini preliminari», oltre o se invece «siano solo il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti».

LE ESIGENZE CAUTELARI

«Se è vero che le molteplici condotte contestate nel presente procedimento potrebbero rivelare una generale pericolosità dell’indagato», afferma la Cassazione, è altrettanto vero che «non è sufficiente la formulazione di un generico giudizio di pericolosità, dovendo invece farsi riferimento al pericolo concreto ed attuale di recidivanza». A fronte del rinnovo delle cariche sociali delle società riconducibili a Romeo e della dotazione di modelli organizzativi atti a prevenire la commissione di reati, il Riesame non ha dunque spiegato il motivo per cui «residuerebbe ancora un pericolo concreto ed attuale che Romeo, attraverso le società, possa reiterare reati della stessa specie».

IL COMMENTO DEI LEGALI

Sono già quattro le sentenze in un anno a favore di Romeo, piene di censure che oltre a investire i processi a suo carico a Roma e Napoli «devono comportare anche una riflessione sull’uso spesso disinvolto di strumenti coercitivi della libertà personale dei cittadini», ha commentato l’avvocato Stefano Cianci, coordinatore degli uffici legali del Gruppo Romeo. La sentenza evidenzia infatti «l’obbligo di una rigorosa motivazione che giustifichi il momento genetico dell’avvio delle attività intercettizie», tanto che Cianci parla di un possibile uso «superficiale, affrettato e strumentale della strumentazione processuale», del quale Romeo e la Romeo Gestioni «ritengono con forza di essere state vittime nella fase delle indagini preliminari». Da qui una serie di «danni gravissimi», nella «distorta concezione secondo la quale per punire il presunto reo, bisogna colpire soprattutto quel complesso di uomini, mezzi, professionalità che costituiscono le aziende a lui assuntamente riconducibili e, con esse, tutto l’insieme dell’indotto che vi gravita attorno, in uno quadro distruttivo fine a se stesso». In questo scenario, tali sentenze «rappresentano la riaffermazione dello Stato di diritto e della neutralità del giudice terzo rispetto ai cittadini».