È il nodo chiave: l’equo compenso dovuto dalle pubbliche amministrazioni. Lo sa perfettamente Andrea Orlando: la disciplina che a fine 2017 ha introdotto l’equo compenso per i professionisti, e innanzitutto per gli avvocati, nasce dall’iniziativa assunta da lui, all’epoca ministro della Giustizia, e dal presidente del Cnf Andrea Mascherin. Nella cornice normativa disegnata due anni fa si ottenne di vincolare le pubbliche amministrazioni al «principio» dell’equo compenso. Un obbligo a retribuire in modo decoroso e congruo gli incarichi affidati all’esterno che però in questi due anni è stato spesso tradito. E così proprio Andrea Orlando, padre della riforma, interviene ora con una proposta di modifica al milleproroghe che imporrebbe in modo definitivo, e inequivoco, il rispetto dell’equo compenso da parte di enti locali e amministrazione centrale.

Il vicesegretario dem ha depositato due giorni fa l’emendamento. Un solo comma in cui Orlando si richiama direttamente alle norme sui parametri, ivi inclusi i parametri forensi ridefiniti a inizio 2018 con un decreto ministeriale firmato proprio da lui. Non viene citata la disciplina dell’equo compenso: si fa riferimento in chiave generale a tutti « i bandi o le selezioni per servizi professionali effettuati dalle Pubbliche Amministrazioni ». Tali procedure a evidenza pubblica « non possono prevedere alcuna clausola di gratuità », sancisce la norma. Che così prosegue: « È altresì fatto divieto di prevedere corrispettivi dal valore simbolico e non proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Tali clausole, ove previste, sono nulle e il compenso del professionista è determinato dal giudice tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ».

Passaggio testuale, quest’ultimo, che chiama dunque in causa proprio la legge professionale forense, nella parte in cui stabilisce la funzione dei parametri per la liquidazione dell’avvocato. Nell’emendamento Orlando si fa poi riferimento ai parametri previsti per tutte le altre professioni, ma è significativa la specifica puntualizzazione introdotta innanzitutto per la professione forense.

Vincolare il compenso del professionista ai parametri vuol dire dare concretezza a un quadro di massima già prospettato nel 2017, ma in una chiave non sufficientemente netta rispetto alle pubbliche amministrazioni. Nella forma scelta da Orlando, d’altronde, riecheggia ancora quel riferimento, contenuto proprio nella disciplina dell’equo compenso, alla necessità di proporzionare la retribuzione del lavoratore alla «quantità e qualità del lavoro svolto» : necessità imposta non solo per legge ordinaria ma innanzitutto dall’articolo 36 della Costituzione.

Come si vede, la strada scelta dal vicesegretario del Pd è la più generale possibile, in modo da garantire comunque qualsiasi lavoratore autonomo incaricato da un ente pubblico. Verrebbe così fissato in modo netto un obiettivo verso cui intende muoversi l’intera maggioranza. Compreso il Movimento 5 Stelle e, in particolare, l’attuale guardasigilli Alfonso Bonafede. È stato lui a istituire il tavolo di confronto sull’equo compenso a via Arenula. Ed è in quella sede che proprio il Cnf ha proposto di partire da una modifica di quel comma in cui la Pa è oggi tenuta a « garantire il principio dell’equo compenso », in modo cioè da precisarla con l’espressione « è assoggettata » all’intera disciplina in materia. Se arrivasse il via libera all’emendamento Orlando, quella modifica, cruciale, arriverebbe subito. Dopodiché dal tavolo aperto al ministero della Giustizia potrebbero comunque venire proposte in grado di completare la normativa. Sia riguardo all’estensione del vincolo a uno spettro più ampio di imprese sia, per esempio, in termini di maggiore chiarezza per gli incarichi eseguiti successivamente alla disciplina del 2017.