Altro che Corte costituzionale, il Tribunale di Palermo rivendica la primogenitura nell’indicazione di irretroattività della legge Spazzacorrotti.

Il tribunale siciliano, infatti, ha emesso - prima della sentenza della Consulta - un’ordinanza interpretativa, che ha dichiarato sospeso l’ordine di carcerazione imposto a un tabaccaio di 47 anni, Antonino Di Cristofalo, condannato per peculato a un anno e otto mesi e immediatamente spedito a scontare la pena proprio in virtù della severa normativa sui reati contro la pubblica amministrazione. I giudici palermitani, infatti, hanno accolto il ricorso proposto dall’avvocato Carmela Re, e considerato di diritto sostanziale le norme previste dalla legge Spazzacorrotti e dunque soggette a precise regole di applicabilità. Dunque, le toghe hanno applicato al caso concreto il principio dell’irretroattività della legge penale, a meno che non sia favorevole al reo.

La norma contenuta nella Spazzacorrotti, secondo la terza sezione del tribunale palermitano, incide sulla natura sostanziale del reato e della pena in modo sfavorevole al reo, dunque si devono applicare i criteri della irretroattività.

Anticipando la Corte costituzionale, i giudici hanno così sospeso l’ordine di carcerazione e rimesso in libertà Di Cristofalo, che potrà chiedere le misure alternative al carcere, visto che la legge 3 del 2019 non era in vigore 8 anni fa, quando commise il reato, nè quando la sentenza contro di lui ( a metà gennaio dell’anno scorso) diventò definitiva. La decisione della Consulta, che va nella stessa direzione, è di mercoledì.

Nel dettaglio, i giudici costituzionali hanno dichiarato costituzionalmente illegittima l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna.

Secondo la Corte, infatti, l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25 della Costituzione.

Di conseguenza, la legge Spazzacorrotti - che ha esteso ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusione previste dall’articolo 4bis dell’Ordinamento penitenziario rispetto alla concessione dei benefici e delle misure alternartive alla detenzione - non è applicabile retroattivamente.