La ministra della giustizia Marta Cartabia, con l’indicazione di Carlo Renoldi come nuovo capo del Dap, continua la tradizione che vuole un magistrato al vertice dell’amministrazione penitenziaria, ma con questa scelta riprende quello che fu un cammino interrotto bruscamente nel ’ 99 dall’allora guardasigilli Oliviero Diliberto con l’amministrazione guidata da Alessandro Margara, l’ispiratore della riforma penitenziaria, il magistrato "che trattava i detenuti come uomini".

Carlo Renoldi, nato a Cagliari il 1969, oggi giudice della prima sezione penale della Cassazione, è un magistrato che ha tra i suoi maestri proprio Margara. Iscritto alla corrente di Magistratura democratica, non a caso è stato componente dei tavoli degli Stati generali dell’esecuzione penale voluti dall’allora ministro Andrea Orlando. Attraverso le sue pubblicazioni, ha contribuito al dibattito sull’affettività in carcere, auspicato una rivisitazione della nostra legislazione penale sulle droghe. Da consigliere della Cassazione ha contribuito a emanare provvedimenti che vietano tutte quelle misure afflittive del 41 bis che sono un surplus rispetto al suo scopo originario. Non sono azioni che ammorbidiscono il cosiddetto carcere duro, come affermano i suoi prevedibili detrattori che approfittano dell’informazione distorta. In realtà si tratta del pieno rispetto della ratio di questa misura differenziata che sulla carta dovrebbe avere un solo unico scopo: vietare ai boss mafiosi di veicolare all’esterno ordini al proprio gruppo di appartenenza criminale. Nient’altro.

Il magistrato Renoldi ha anche una idea ben precisa di come debba funzionare l’esecuzione penale. Una idea che ovviamente rispecchia la visione della ministra Cartabia, ovvero quella dettata dalla nostra carta costituzionale.

Contesta, basti sentire i suoi interventi registrati su Radio Radicale, quello che definisce un “mito reazionario”, ovvero la retorica della certezza della pena, quella che da una certa parte politica, anche trasversale, la declina in «no a sconti della pena, no alla prescrizione che viene rappresentata come uno strumento - ha detto Renoldi durante un convegno in Toscana del 2019 - che consente ai delinquenti di sottrarsi alla giusta sanzione, e poi in materia di ordinamento penitenziario l’impegno a fare sì che chi sbaglia la debba pagare in carcere senza benefici».

Renoldi, in quell’interessante dibattito, ha ricordato che uno dei cavalli di battaglia intrapresi da Alessandro Margara era la “flessibilità della pena”, un principio che è stato costituzionalizzato con la sentenza della Consulta del 1974 sulla liberazione condizionale. Interessante quando il magistrato Renoldi non parla di disobbedienza, ma di «obbedienza costituzionale» che si può realizzare attraverso una rete composta da magistrati e avvocati.

Il richiamo è sempre quello: i valori della nostra costituzione.

Ed è questa l’affinità con la visione della ministra Marta Cartabia. Ma finisce qua. Non sarà certo il capo del Dap a riformare il sistema penitenziario. Ricordiamo che il compito dell’amministrazione penitenziaria è quello di provvedere a garantire l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti penitenziari, lo svolgimento dei compiti inerenti all'esecuzione della misura cautelare della custodia in carcere, delle pene e delle misure di sicurezza detentive, delle misure alternative alla detenzione. Tutti aspetti difficili e complessi, per questo ci vuole competenza e non una visione riduttiva come hanno taluni magistrati sponsorizzati dai detrattori di Renoldi.

Sicuramente il compito non sarà facile. Ci sono numerose criticità che stanno diventando insostenibili sia per i detenuti che per gli agenti penitenziari.

Non a caso, Gennarino De Fazio, il segretario Generale della Uilpa, plaudendo la possibile nuova nomina, ha rivolto l’ennesimo appello alla guardasigilli affinché vari un decreto- legge necessario per i provvedimenti immediati e si approvi una legge delega per la reingegnerizzazione del sistema d’esecuzione penale, la rifondazione del Dap e la riorganizzazione del Corpo di polizia penitenziaria.