Il Tribunale di Siena con una ordinanza di 33 pagine ha sollevato questione di costituzionalità del decreto legge varato lo scorso 31 ottobre dal governo Meloni, nella parte in cui rinvia al 30 dicembre l’entrata in vigore della riforma del processo penale di mediazione Cartabia. I fatti: a luglio 2019 a Chianciano Terme un automobilista arresta improvvisamente la sua auto e costringe quello che sta dietro a frenare bruscamente. Ne nasce un diverbio, durante il quale il primo minaccia il secondo, ammaccando pure la macchina dell’altro con un pugno. La vittima sporge querela e il pm muove l’accusa di violenza privata e danneggiamento, chiedendo poi al termine del processo sei mesi per l’accusato. Mentre la difesa chiede di sollevare il dubbio di legittimità costituzione o in subordine l’assoluzione. Intanto però il 9 novembre 2019 la parte offesa aveva ritirato la querela, ma il pm aveva comunque “doverosamente” esercitato l’azione penale, dal momento che i reati di violenza privata e danneggiamento risultavano perseguibili d'ufficio. Nell’udienza dell’8 novembre 2022 il pm rende nota la remissione di querela, espressamente accettata dall’imputato. L’11 novembre il giudice invia gli atti alla Consulta. L’intreccio con la riforma Cartabia: il 17 ottobre viene pubblicata in GU la riforma del processo penale che sarebbe dovuta entrare in vigore il primo novembre. «In un’ottica di deflazione in concreto degli affari penali», la norma - ricorda il giudice - ha previsto «un mutamento nel regime di procedibilità, tra gli altri, anche dei delitti di violenza privata e di danneggiamento» perseguibili solo a querela del soggetto offeso. Pertanto per questi due reati risulta ampliato «il novero delle fattispecie estintive della punibilità ad essi relative, ricomprendendovi anche la remissione di querela». Tali mutamenti normativi, spiega il giudice senese, che «prevedono l’introduzione della più favorevole perseguibilità a querela in luogo della già prevista procedibilità d’ufficio, come noto rappresentano il terreno elettivo di applicazione del principio di retroattività della norma penale più favorevole al reo». Dunque, se il primo novembre fosse entrata in vigore la riforma Cartabia, il giudizio non si sarebbe potuto che concludere «con una sentenza di non doversi procedere, adottata ai sensi dell’articolo 531 del codice di procedura penale, a seguito dell’intervenuta estinzione di entrambi i reati di danneggiamento e violenza privata ascritti all’imputato». Tuttavia il 31 ottobre, attraverso il decreto-legge emanato dal governo appena insediatosi, l’entrata in vigore della riforma Cartabia è stata posticipata al 30 dicembre, sicché il magistrato sottolinea che allo stato «non può dispiegarsi la concreta efficacia operativa dei più favorevoli mutamenti», in quanto «resta precluso al Tribunale l’accertamento dell’estinzione di siffatti reati, in ragione della perdurante procedibilità d’ufficio dell’azione penale». Il rinvio alla Corte Costituzionale: «Le considerazioni e i rilievi innanzi esposti, allora – ha proseguito il magistrato - depongono tutti nel senso di escludere che il presente giudizio possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162” “per contrasto con gli articoli 73, terzo comma, e 77, secondo comma, nonché con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione sia all’articolo 7, primo paragrafo» della Cedu, sia all’articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici. I motivi del rinvio: innanzitutto secondo il giudice il decreto legge dell’esecutivo Meloni è stato emanato «in palese difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza che legittimano ed abilitano il Governo ad esercitare funzioni legislative». Secondo: secondo l’articolo 73 comma 3 della Costituzione «le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso». In pratica l’entrata in vigore può essere posticipata solo se è la legge stessa a prevederlo, non un altro atto. E sebbene la sentenza n. 170 del 1983 della Consulta «autorizza il legislatore, nel suo potere discrezionale, a disporre diversamente prevedendo l'entrata in vigore di una legge oltre il quindicesimo giorno», «siffatto potere discrezionale (...) può essere legittimamente esercitato soltanto nell’ambito del medesimo procedimento di formazione della legge cui tale termine deve riferirsi», non con un decreto-legge emanato successivamente come avvenuto in questo caso. Infine l’articolo 6 del dl Meloni, «stabilendo un (nuovo) termine di vacatio legis al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, impedisce di applicare, a decorrere dal 1° novembre 2022, le modifiche mitigatrici disposte all’art. 2, primo comma, lettere e) ed n) del citato d.lgs., precludendo così il riconoscimento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, in evidente assenza di sufficienti ragioni che possano giustificare il diverso e più deteriore trattamento penale che consegue alla vigenza della censurata disposizione».