Tutto si può migliorare, ma il mantra è uno solo: «Vogliamo essere il governo della legalità». Il giorno dopo la non- pronuncia della Corte costituzionale sull’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni rivendica le prime mosse del governo, ribadendo di essere «fiera che il primo provvedimento che abbiamo varato sia stato dedicato al tema della lotta alla mafia». «C’è il tema della legalità che consideriamo un tratto distintivo di questo governo: bisogna tornare a rispettare le regole e questo vale per ogni ambito - ha sottolineato nel corso dell’assemblea con i parlamentari di Fratelli d’Italia -. È finita la Repubblica delle banane in cui si vessano i cittadini e che piace tanto alla sinistra: si può fare tutto, nel rispetto delle leggi e nel rispetto degli italiani che le leggi le rispettano».

L’intervento sull’ostativo era dunque urgente, come ribadito nella relazione depositata al Senato in attesa della conversione in legge, per evitare che la Consulta «procedesse dichiarando l’illegittimità di questa norma a causa della lentezza della politica». Ma il testo, che impone paletti molto stringenti per la concessione dei benefici agli ergastolani ostativi, potrà essere rivisto dall’Aula, ha aggiunto la premier, per essere «migliorato». Così come il provvedimento che colpisce i rave illegali, rivedibile per evitare accuse di derive liberticide, già piombate sull’esecutivo.

A garantirlo, ai microfoni di Radio1 Rai, è stato questa volta il sottosegretario alla Giustizia e deputato FdI Andrea Delmastro Delle Vedove, che ha annunciato un possibile emendamento governativo al decreto. «È sempre possibile modificarlo - ha dichiarato -, a patto che non ci si metta a fare una battaglia di civiltà. Se si vuole circoscrivere maggiormente la condotta affinché nessuno possa anche solo ipotizzare scenari liberticidi, siamo pronti». E a ipotizzare che si tratti proprio di un attacco alle libertà è, tra gli altri, anche Gaetano Pecorella, ex presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, oltre che past president delle Camere penali, secondo cui l’articolo 434 bis «appare scritto su misura per colpire talune manifestazioni politiche collettive».

Nella relazione, il governo precisa che ad essere preso di mira è solo il fenomeno «dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (cosiddetti rave party)». Una precisazione che manca però nell’articolato, dove ad essere puniti sono, genericamente, i “raduni”, col rischio che tale norma possa essere applicata anche ad altri tipi di eventi. Ed è proprio lì che dovrebbero intervenire le modifiche, viste le annunciate intenzioni dell’esecutivo di colpire soltanto eventi clandestini di natura musicale, organizzati tramite il web e il passaparola «in aree di proprietà pubblica o privata invase illecitamente dai partecipanti».

Il decreto mette in stand by anche la riforma Cartabia, data la necessità di «approntare misure attuative adeguate a garantire un ottimale impatto della riforma sull’organizzazione degli uffici». Ma le nuove norme, ha assicurato Delmastro, saranno in vigore dal primo gennaio, nonostante la stessa riforma realizzi, ha aggiunto, un «Frankenstein giuridico». Solo «esigenze tecniche», anche per consentire «un’analisi delle nuove disposizioni, agevolando l’individuazione di prassi applicative uniformi e utili a valorizzare i molti aspetti innovativi della riforma», ma nessun stravolgimento.

Ma le ultime dichiarazioni della compagine di governo lasciano anche uno spiraglio per una modifica della legge Severino, sponsorizzata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, tra i promotori degli sfortunati referendum del 12 giugno. Tale norma, aveva dichiarato a febbraio dello scorso anno al Dubbio, «non serve assolutamente a nulla e confligge con la presunzione di innocenza che è prevista dalla Costituzione».

Da qui l’appello al governo allora in carica a «riformare in senso liberale tutto questo pasticcio che è il nostro codice di procedura penale, magari anche tirando fuori dal cassetto il codice penale della commissione presieduta da me, immeritatamente chiamato codice Nordio. Un buon codice, molto moderno e avveniristico, perché non considera più il carcere come elemento fondante della punizione». Meloni si è sempre dichiarata contraria all’abolizione della legge Severino, schierandosi contro il quesito referendario. «Deve essere profondamente modificata per le sue evidenti storture - aveva sottolineato intervenendo nel dibattito -, ma la sua totale abolizione significherebbe un passo indietro nella lotta senza quartiere alla corruzione».

La modifica non era prevista nel programma di governo, ma ora, almeno stando alle parole del sottosegretario Delmastro, una possibilità di intervenire c’è. «La legge Severino va profondamente modificata - ha affermato -. È altrettanto vero che un tema tra corruzione e politica c’è, e una norma specifica ci deve essere sicuramente. Non va abolita, però ora ha dei grandi tratti di ingiustizia».