Il processo mediatico? Colpa degli avvocati. A sostenerlo è il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, in un documento con il quale definisce gli orientamenti della Suprema corte in materia di comunicazione istituzionale sui procedimenti penali. Ben vengano il rispetto della presunzione dinnocenza e della dignità della persona, afferma il pg che, è bene ribadirlo, è anche il titolare dellazione disciplinare a carico dei magistrati ma la direttiva europea recepita dal governo italiano, che impone ai capi delle procure una comunicazione più sobria, avrebbe come effetto quello di lasciare tutto in mano alle parti private gli avvocati, appunto , con il rischio «che il processo si svolga non nelle aule di giustizia, ma in quelle dei mezzi di comunicazione di massa». Il tutto, aggiunge Salvi, «senza alcun contraddittorio in grado di ripristinare, non si dice la parità delle armi, ma almeno la verità di quanto accertato nelle aule giudiziarie rispetto alle prospettazioni mediatiche delle parti». Insomma, in 10 pagine Salvi ribadisce quanto già affermato al convegno di Giustizia Insieme, quando aveva evidenziato che «il pubblico ministero e il giudice devono contrastare le informazioni errate e fuorvianti che vengono fornite dalle parti che non hanno obbligo di verità, non hanno obblighi specifici di correttezza. Anche questa è una cosa che dobbiamo discutere: il difensore ha obbligo di verità? Ha obbligo di correttezza? Non so, è un tema però che forse va posto, perché non è possibile che la disciplina sia solo quella del magistrato». Il suo pensiero, ora, viene condiviso con tutti i procuratori delle Corti dAppello e tramite loro con i capi di tutti gli uffici inquirenti dItalia, che useranno proprio questa circolare per applicare la direttiva sulla presunzione dinnocenza. Salvi ha ricordato che informare lopinione pubblica «non è un diritto di libertà del magistrato del pubblico ministero o del giudice, ma è un dovere preciso dellUfficio». Che dovrà, certamente, preoccuparsi di fornire uninformazione «corretta e imparziale», «rispettosa della dignità della persona», «completa ed efficace», oltre che rispettosa della segretezza di alcuni atti. Ma senza nessun altro limite. E la presunzione di innocenza, dunque, «non deve comportare che la comunicazione sia interamente abbandonata nella disponibilità delle parti private, nel corso del procedimento; parti per le quali non è invece posto alcun obbligo di rispetto di canoni seppur minimi di correttezza nella informazione». Il rischio è, appunto, il processo mediatico, del quale il pg dà la colpa ai soli avvocati, nonostante il loro ovvio interesse a garantire il rispetto della presunzione dinnocenza e nonostante siano stati proprio i magistrati, negli anni, a monopolizzare la comunicazione, sia sulla carta stampata sia nei salotti televisivi, spesso presentando come colpevoli i semplici indagati. E Salvi critica anche «il sempre più frequente commento mediatico alla decisione del giudice, in termini spesso offensivi e aggressivi». Condotte che, se poste in essere dai magistrati, «costituiscono illecito disciplinare», mentre non esisterebbero «sanzioni analoghe» nei confronti dei difensori delle parti private. Da qui linvito ai colleghi a segnalare ai Consigli di disciplina forense tali condotte «nei casi gravi». La diffusione di informazioni sui procedimenti penali «è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico», ribadisce il pg. Sarà il procuratore a stabilire quando tale interesse sussista, sulla base di «circostanze fattuali, temporali, e territoriali che non possono essere univocamente previste». Di conseguenza la scelta «non può essere sindacata, se non nei casi di palese irragionevolezza». Insomma, il margine dazione rimane amplissimo, secondo linterpretazione data da Salvi alla direttiva e al decreto che le dà attuazione. E se è necessario motivare la convocazione di una conferenza stampa, tale obbligo anche per i comunicati stampa sarebbe irragionevole, in quanto contrasterebbe non solo con la norma, ma anche «con la tutela dellinteresse pubblico allinformazione, avente certo rilievo costituzionale». Non sono vietate le interviste, anche perché, «come per qualunque altro cittadino, la manifestazione del pensiero è libera e costituzionalmente garantita» dallarticolo 21 della Carta. «Ad essere regolamentata è soltanto la comunicazione istituzionale», afferma Salvi, ma va «evitata ogni indebita espressione di opinioni, considerazioni e notizie, che ove non trasfuse negli atti dellindagine divenuti sino a quel momento pubblici, deve considerarsi illecita». Ogni violazione della presunzione dinnocenza si trasformerebbe, comunque, in violazione degli scopi e della lettera della direttiva, «con ogni conseguenza». La comunicazione diretta con il giornalista è dunque lecita, ma «non deve trattare delle posizioni di singoli indagati», mentre sono vietate interviste, «specialmente in esclusiva, volte alla trattazione di questioni inerenti singoli procedimenti o specifiche posizioni processuali». Sarà possibile ancora consegnare ai giornalisti copie delle ordinanze di custodia cautelare, ma non gli atti di indagine. Ma nel redigere lordinanza, il giudice ha «il dovere della presentazione degli elementi indiziari a carico dellindagato in termini tali da un lato, da giustificare ladozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale, e dallaltro da lasciare impregiudicata la presunzione di innocenza».