«Mentre le sue denunce venivano sistematicamente ignorate, lui finì a processo per diffamazione, per aver scritto una cosa vera. Si sentiva perseguitato, moralmente gambizzato. E con una lucidità agghiacciante decise di sacrificare la sua vita». L'avvocato Mariella Cicero è una delle ultime persone ad aver sentito Adolfo Parmaliana, professore universitario di Terme Vigilatore, in provincia di Messina, morto suicida il 2 ottobre del 2008. Lo ha sentito il primo ottobre, dopo il rinvio a giudizio per diffamazione, lasciando una lettera in cui denunciava le gravi responsabilità di politici e magistrati nel rallentare le indagini sulla mafia e indicando in lei, l'avvocata Cicero, la persona a cui chiedere del suo calvario.Una battaglia che aveva condotto contro la mala politica e la mala giustizia, che lo ha visto protagonista anche dopo la sua morte. Perché nonostante il suo volo giù dal cavalcavia della Messina-Palermo, qualcuno aveva tentato di diffamarlo con un dossier che una sentenza della Cassazione ha certificato essere falso. Un dossier che ha un autore, anche quello accertato dalla Cassazione: Franco Cassata, ex procuratore generale di Messina. Ha un prezzo da pagare, per ora: 800 euro, il "costo" della diffamazione aggravata dall'attribuzione di un fatto previso. Un fatto preciso contenuto in un plico di 33 pagine, al centro di un'inchiesta condotta dai magistrati di Reggio Calabria, quando a comandare la procura c'era Giuseppe Pignatone. Ora la moglie di Parmaliana, Cettina Marino, dovrà affrontare una causa civile per stabilire il risarcimento del danno causato da quel dossier che ha infangato la memoria di un morto. «Non me la sento di parlare», dice Cassata, contattato dal Dubbio. Ha la voce rotta. Più forte è quella di Mariella Cicero, che non capisce come mai, prima di ora, la storia fosse stata ignorata dalla stampa.Dopo il suicidio di Parmaliana, uno scrittore, Alfio Caruso, aveva deciso di raccontare la sua storia, col libro "Io che da morto vi parlo". Ma Cassata confezionò un dossier, pieno zeppo di invenzioni sul professore di chimica, che lo descrivevano come personaggio moralmente abietto. Cassata, però, commise un errore fatale: al dossier aveva allegato un documento inviato da un fax di una cartoleria di Barcellona Pozzo di Gotto e indirizzato alla procura generale di Messina, che portò gli uomini di Pignatone fin nell'ufficio del procuratore generale. «Cassata disse che il dossier era stato spedito anche a lui ma sulla sua copia mancava il numero di protocollo - racconta l'avvocato Cicero, che assieme al collega Fabio Repici ha seguito la famiglia Parmaliana -. Avevamo capito anche che le buste utilizzate per la spedizione del dossier erano state redatte direttamente da lui, perché c'erano delle analogie con la sua scrittura ma questo non entrò in processo».Ma cosa voleva ottenere Cassata con quel fascicolo? «Voleva evitare la pubblicazione di un libro che lo mettesse in cattiva luce», spiega l'avvocato. Il professore, infatti, aveva indicato anche in Cassata uno dei responsabili dell'inerzia della magistratura di fronte alle sue denunce. «Il fatto che Cassata fosse stato confermato alla procura generale lo preoccupò molto - aggiunge -. Inoltre, il figlio del magistrato aveva ricevuto diversi incarichi al Comune di Terme di Vigilatore. Dopo le indagini per diffamazione aveva chiesto di essere ascoltato dalla procura, che si rifiutò di interrogarlo. Questa cosa lo fece sentire perseguitato».Così si suicidò. Ma la sua voce continuò a popolare gli incubi delle persone che aveva denunciato. «Cassata si vide costretto a produrre quel dossier», così dipinse Parmaliana come «una persona moralmente indegna», con una meticolosa raccolta di informazioni «durata almeno un anno». Per il legale questo enorme lavoro di raccolta non può essere frutto di una sola mano. «Ci sono sospetti, intercettazioni che fanno pensare che ci fossero anche altri responsabili - ha spiegato -. Ma il gruppo non venne mai colpito». Ma, spiega ancora l'avvocato, non fu questo l'unico metodo utilizzato per impedire la pubblicazione del libro. «Cassata fece mandare "un'ambasciata" a Caruso affinché il libro non uscisse», aggiunge. Il processo al procuratore iniziò nel 2010: «Allora era ancora molto potente e la notizia venne affossata». Fu l'avvocato Repici, attraverso il suo blog, a raccontare fase dopo fase il processo di Reggio Calabria. «Un processo difficile, non pensavamo di arrivare a sentenza», dice la Cicero. Che racconta del suo ultimo sms. «Alle 21.25 del primo ottobre mi scrisse: "grazie di tutto, ci vediamo domani"».