Dopo il via libera alla ripresa delle udienze ordinato da un emendamento al dl Intercettazioni, si era temuto un nulla di fatto. Secondo le rappresentanze del personale giudiziario, sarebbe stata comunque necessaria una «norma primaria» per mettere fine allo smart working nei Tribunali. Ma la circolare diffusa nello scorso fine settimana da via Arenula chiarisce che non è così.

All’orizzonte era sembrato profilarsi persino uno sciopero dei cancellieri. La riapertura della Giustizia già lasciava presumere un terremoto sindacale, coi dipendenti convinti che potesse configurarsi un abuso, dietro la richiesta - suggerita al guardasigilli Alfonso Bonafede innanzitutto dagli avvocati - di tornare al lavoro in tribunale, e dismettere lo smart working. Non ci sarà motivo di rivolta, nonostante ne fossero convinte alcune rappresentanze del personale. A chiarirlo è la circolare del capo dipartimento Organizzazione giudiziaria di via Arenula, Barbara Fabbrini. Una nota chiara, dettagliata, che ricorda un dato: il dl Rilancio già consente di rimodulare il ricorso al lavoro agile negli uffici pubblici. Non sembra dunque necessario, secondo l’interpretazione del ministero della Giustizia, un dpcm di Conte per anticipare la data del 31 luglio oltre la quale l’attività del personale avrebbe comunque smesso di svolgersi, in via ordinaria, da remoto. Opzione che i sistemi informatici dei tribunali hanno finora reso in gran parte inattuabile.

La circolare firmata venerdì da Fabbrini è stata non a caso oggetto di un post pubblicato sabato su facebook dal ministro Bonafede. Il documento del capo dipartimento è essenziale per mettere fine, il 30 giugno, al lockdown dei diritti, come previsto dall’emendamento al dl Intercettazioni approvato giovedì scorso all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato. Certo, la norma del dl Rilancio richiamata da Fabbrini è chiara, ma poco conosciuta o sottovalutata quanto al suo significato. Al punto che l’Adgi, tra le maggiori organizzazioni rappresentative dei cancellieri, ancora giovedì scorso aveva reclamato da Bonafede una «apposita norma primaria che giustifichi, per il personale giudiziario in deroga alle leggi vigenti, la non applicazione dello smart working previsto per i pubblici dipendenti». Il capo dipartimento del ministero ricorda le linee guida diramate nelle scorse settimane, in cui già si invitava a servirsi dell’ «orario flessibile» e «pomeridiano», della «rotazione dei servizi di cancelleria». Fino a ribadire che ora, a maggior ragione, estendere l’orario e i turni può e deve essere fatto, perché consente «una più decisa riapertura delle attività amministrative e giudiziarie» con «meno presenza in contemporanea di personale». D’altra parte, ed è questo il passaggio chiave, «tale è l’indicazione voluta anche dal legislatore con il decreto legge 34/ 2020 ( il dl Rilancio, appunto, ndr) all’articolo

263» . Che, scrive Fabbrini, «indica un chiaro percorso di ripresa», tale da «dosare le misure dello smart working, previsto dall’articolo 87 del dl 18/ 2020 ( il “Cura Italia, ndr) ».

Ed è così. L’articolo 263 recita: «Le amministrazioni adeguano le misure di cui all’articolo 87» del dl Cura Italia «sulle esigenze della progressiva riapertura di tutti gli uffici pubblici e a quelle dei cittadini» oltre che delle imprese. Un obiettivo - si legge ancora nel passaggio del dl Rilancio citato da Fabbrini - che le amministrazioni perseguono «attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro».

Talmente chiaro che alla fine del pro- memoria il capo dipartimento di via Arenula «raccomanda» di «operare una diversa modulazione del rapporto tra lavoro in presenza» e «lavoro agile» in termini «quantitativi», ai fini di una «progressiva maggiore ripresa delle attività amministrative e giudiziarie per i mesi di giugno e luglio».

Dettaglio, quello all’ultima riga, che accoglie le richieste dell’avvocatura, di Cnf e Ocf innanzitutto, secondo cui sarebbe indispensabile riavviare la macchina ancora prima del 1° luglio, cioè già dalla prossima settimana. Ecco perché, nel suo post, Bonafede aveva scritto: «Siamo certi che dal primo luglio verrà garantito il regolare svolgimento delle udienze». Lo dice una fonte primaria, come quella sollecitata a Bonafede dal personale della Giustizia. Semplicemente, i sindacati non si erano accorti che la norma c’era già.