Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Basentini ha dichiarato che il sovraffollamento negli istituti penitenziari è un falso problema. Perché? Presto detto. «Adottando come parametro di riferimento i criteri e le prescrizioni dettati dagli organismi internazionali - ha spiegato Basentini -, infatti, la capacità ricettiva degli istituti penitenziari è di gran lunga superiore alla soglia dei 60.000 detenuti, che attualmente vivono nelle carceri italiane».

Ma è vero? Il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma spiega a Il Dubbio che se adottassimo sulla carta il parametro del Comitato per la Prevenzione della Tortura ( Cpt) - che prevede come superficie minima ' desiderabile' almeno 6 mq per la cella singola e 4 mq pro capite per la cella multipla – il problema rimarrebbe invariato. «Anche perché – sottolinea Palma – non si può fare un discorso puramente geometrico, perché in questo modo in maniera astratta potremmo mettere diversi detenuti in una unica cella e ciò non è possibile farlo concretamente, a meno che non si abbattano le mura per fare un enorme camerone» . Quindi cosa fare? Palma conferma che il problema è quello di garantire effettivamente i 6 metri quadrati, cosa che di fatto non avviene. Ma è vero poi, come alcuni scrivono, che il nostro sovraffollamento non sarebbe stato censurato dagli organismi internazionali se non avessimo avuto come parametro di riferimento i nove metri quadri? Il Garante smentisce questa affermazione. «Noi siamo stati sentenziati dalla Corte europea dei diritti umani, perché in quel momento avevamo ben 15 mila detenuti sotto la soglia minima dei tre metri quadri».

Infatti, va ricordato, che la Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani ( ricorsi nn. 43517/ 09, 46882/ 09, 55400/ 09; 57875/ 09, 61535/ 09, 35315/ 10, 37818/ 10) – adottata l’ 8 gennaio 2013 con decisione presa all’unanimità – ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani ( Cedu). Il caso, come è noto, riguarda trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.

Siamo fortunatamente ben lontani da quei numeri, però – come conferma il Garante Nazionale – il trend del sovraffollamento è in crescita. C’è anche un altro problema da scongiurare. «Non si può nemmeno pensare - spiega sempre il Garante di spalmare i detenuti su tutti gli istituti penitenziari dislocati nel territorio italiano per compensare il sovraffollamento che varia di carcere in carcere». Il Garante si riferisce al rispetto della territorialità della pena, garantita dal nostro ordinamento penitenziario e rafforzata dalla recente riforma.

«Bisogna pensare che va garantito anche il rispetto della territorialità della pena secondaria», osserva Palma. Fa l’esempio dei detenuti reclusi per associazione mafiosa che ovviamente devono essere reclusi in un posto lontano dal suo territorio di appartenenza. «Ma una volta che si è stabilito in un carcere dove ha cominciato a instaurare rapporti con la Asl di competenza e altri attori del luogo, non può essere continuamente trasferito presso altre carceri come se fosse un pacco postale». Quindi, in sostanza, anche abbassando i parametri di riferimento ( e il Garante stesso dice che basterebbero rispettarli, non sulla carta, ma nella realtà), il sovraffollamento risulterebbe invariato. «Purtroppo – sottolinea – vige una cultura “cellacentrica”, dove si pensa che tutta la vita debba svolgersi all’interno della camera». Palma fa l’esempio delle carceri spagnole dove le celle sono piccole, ma durante il giorno sono chiuse e il detenuto viene occupato a svolgere mansioni fuori dalle celle. «Da noi dovrebbero implementare la sorveglianza dinamica, non ridurla, proprio per non far sostare il detenuto tutto il giorno all’interno della cella».

Mauro Palma ribadisce ciò che disse durante l’ultimo congresso del Partito Radicale: «Le entrate sono stabili, ma sono diminuite le uscite». Diversi sono i fattori per il quale diverse migliaia di detenuti sono dentro, nonostante hanno i presupposti per avere pene alternative al carcere. «C’è il fattore di marginalità sociale – spiega Palma -, ovvero che non hanno la possibilità e strumenti per accedere, poi c’è il fattore culturale visto che se si tende a criminalizzare le misure alternative, la magistratura tende a darle di meno». Il Garante tiene a precisare che non siamo assolutamente ai livelli della famosa sentenza Torreggiani, ma i detenuti dentro gli istituti sono in aumento e il sovraffollamento è crescente con punte del 120 percento. «Anche dentro uno stesso carcere – conclude Palma – convivono tipologie di sezioni che presentano punte maggiori di sovraffollamento tra di loro».