Mentre la tragedia nelle carceri italiane resta invisibile ai più, il ddl sicurezza accelera in Parlamento, arricchendosi di nuovi emendamenti repressivi. Tra questi, uno targato Lega che equipara la cannabis light, con basso contenuto di Thc, a quella illegale. Un'ulteriore stretta che evidenzia il carattere punitivo del ddl, pronto a sferrare un altro colpo al fragile Stato di Diritto.

Per comprendere le criticità, è utile rifarsi all’audizione scorsa del presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, che ha presentato il documento redatto con l’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi) ai parlamentari delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera. «È con misure di welfare comunale e di dialogo sociale, non criminalizzando le persone, che un governo dovrebbe agire di fronte a comportamenti che affondano le proprie radici nella disuguaglianza sociale ed economica», è in sintesi il giudizio delle organizzazioni.

«Il testo in discussione in Parlamento presenta un evidente contrasto con troppi principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell’immigrazione e del diritto penitenziario. Se questo provvedimento diverrà legge segnerà una deriva del sistema democratico verso un modello autoritario e repressivo nelle nostre comunità colpendo anche con intenti discriminatori, diverse situazioni di marginalità sociale», si legge nel documento. «Le nuove disposizioni che il governo vorrebbe introdurre appaiono, infatti, impostate a una logica repressiva, securitaria e concentrazionaria: la sicurezza è declinata solo in termini di proibizioni e punizioni, ignorando che è prima di tutto sicurezza sociale, lavorativa, umana e dovrebbe essere finalizzata all’uguaglianza delle persone. Il disegno di legge del governo strumentalizza, invece, le paure delle persone e contravviene ai doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione» proseguono Asgi e Antigone.

Tra le disposizioni più criticate del ddl sicurezza spiccano quelle che riguardano le donne incinte e le proteste pacifiche in carcere. Viene cancellata la possibilità di rinvio della pena per le donne in stato di gravidanza. Una scelta che, come sottolineano le associazioni, appare come una repressione simbolica verso un gruppo sociale specifico, le donne rom. Il nuovo reato di rivolta carceraria equipara le proteste violente a quelle pacifiche. In pratica, chi si oppone in modo non violento agli ordini in carcere, nei centri di accoglienza o nei Cpr (ad esempio rifiutando di entrare in una cella sovraffollata) rischia fino a 8 anni di carcere, con regime di 4- bis (previsti inizialmente solo per terrorismo e mafia). Una misura che rischia di sovvertire il modello penitenziario italiano, riportandolo indietro al regolamento fascista del 1931. Infine, con il disegno di legge, «si favorisce – riporta il dossier di Asgi e Antigone - la proliferazione delle armi nelle strade e, più in generale, nei luoghi pubblici, consentendo a circa 300 mila persone appartenenti alle forze dell’ordine di usare un’altra arma, diversa da quella di servizio, mettendo a rischio la sicurezza delle persone, in una deriva del modello securitario che tenderebbe così ad assomigliare sempre più a quello statunitense. Più armi ci sono per le strade, più morti ammazzati ci saranno».