«Nessun siluro alla riforma», ha tenuto a precisare ieri, in apertura di plenum, Carmelo Celentano, presidente della Sesta Commissione del Csm. Ma il documento che lunedì alle 15 andrà ai voti, dopo la richiesta di far slittare tutto per presentare ulteriori emendamenti al testo della ministra Marta Cartabia, difficilmente potrebbe essere definito diversamente. Tant’è che sono già una cinquantina le proposte di modifica - sulle quali oggi si aprirà il dibattito - presentate dai consiglieri, mentre la decisione del plenum è prevista proprio nel giorno in cui si aprirà in Commissione Giustizia la discussione sugli emendamenti presentati dai partiti.

Senza bisogno di attendere il voto, il giudizio della componente togata di Palazzo dei Marescialli è già chiaro ed emerge con prepotenza dalle dichiarazioni di ieri in assemblea, che seppur non conclusiva ha fatto emergere una netta bocciatura della riforma che dovrebbe idealmente rappresentare l’inizio di una vera e propria ristrutturazione della magistratura, dopo gli scandali degli ultimi anni.

Per Nino Di Matteo si tratta di una «pessima riforma che accentua la deriva carrieristica», ovvero l’esatto opposto di quanto si era prefissata la ministra. E sarebbe proprio l’idea di fondo, secondo il magistrato, ad essere sbagliata, in quanto «accentua anche la burocratizzazione del ruolo del magistrato, il controllo politico del pm, l’esclusiva logica produttivistica, nonché la possibilità di conflittualità interne agli uffici e il pericolo di magistrati che ricerchino la compiacenza di avvocati, nella forma di acquisizione del consenso».

Oggetto della critica del magistrato il sistema elettorale - prevalentemente maggioritario con un «correttivo proporzionale che mira ad offrire ai gruppi minori una rappresentanza in Consiglio» -, che secondo la Sesta Commissione comporterebbe una sotto-rappresentazione delle minoranze, «mentre i gruppi di maggiori dimensioni potrebbero essere sovra-rappresentati». E ciò confermerebbe, dunque, lo strapotere delle correnti, emerso con prepotenza dalla vicenda dell’Hotel Champagne. «Il sorteggio temperato non sarebbe risolutivo - ha dunque affermato Di Matteo -, ma di certo sarebbe il metodo più efficace per scompaginare quegli schemi, quel meccanismo che ha mortificato non solo l’autonomia e l’indipendenza ma anche la nobiltà dell’impegno di molti che hanno fatto o fanno parte dei gruppi». A condividere le critiche sul sistema elettorale anche il togato di Autonomia e Indipendenza Giuseppe Marra, secondo cui il sistema previsto dalla riforma «non trova nessun consenso neanche da parte delle forze della maggioranza di governo».

Per il laico dei 5 Stelle, Fulvio Gigliotti, tale sistema, «invece di temperare, favorisce il correntismo». Con il risultato, secondo il togato Sebastiano Ardita, anche lui d’accordo con l’idea del sorteggio temperato, di ampliare «il controllo del voto». Ma sono le parole del magistrato di Area Giuseppe Cascini quelle più feroci contro la riforma, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra magistratura e stampa, con l’introduzione di illeciti disciplinari per i pm che informano i giornalisti dei risultati dell'attività di indagine, «nel 90% dei casi - ha evidenziato - per ristabilire la verità dei fatti».

Secondo Cascini, tale illecito rappresenterebbe «un fucile puntato sui pm, in particolare sui procuratori, suscettibili di finire sotto procedimento disciplinare», con effetti pesanti sul «diritto all'informazione» e sulla «autonomia» delle toghe. Si tratta di «una delle criticità più rilevanti della riforma», perché «rappresenta una indebita, e del tutto irrazionale, limitazione del diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati, con gravi conseguenze ancora una volta sul diritto di informazione e sull’indipendenza dei magistrati - ha affermato -. Con questa norma si verrebbe ad attribuire ai titolari dell’azione disciplinare e al giudice disciplinare un penetrante potere di sindacato su scelte di natura discrezionale che dovrebbero essere riservate al Procuratore della Repubblica - ha sottolineato Cascini - con rischi molto gravi sia per le garanzie di indipendenza dei magistrati del pubblico ministero che per il diritto/ dovere di informazione sulle vicende giudiziarie».

In generale, ha affermato Cascini a nome dell’intero gruppo di Area, «il limite principale di questa riforma, e anche del dibattito pubblico in corso su questi argomenti, è quello di non cogliere i temi centrali della crisi del governo autonomo della magistratura e i rimedi necessari a risolverla. Manca un disegno complessivo di riforma, manca un'idea di fondo sulla magistratura e sul governo autonomo e si rincorrono in maniera disordinata le pulsioni irrazionali del dibattito in materia. E nella parte in cui sembra cogliersi un disegno complessivo, questo è sicuramente sbagliato e rischia di aggravare i fenomeni degenerativi cui si dichiara di voler porre rimedio».

Per il togato di Magistratura Indipendente Antonio D'Amato si tratta «di una riforma di basso respiro, che tocca il suo culmine nel controllo politico dei magistrati e soprattutto dei pubblici ministeri, anche perché vuole sottoporre i progetti organizzativi delle procure alle osservazioni del ministro della Giustizia». Una riforma che, se attuata nella sua completezza, porterebbero ad «una magistratura più debole e un organo di governo autonomo più fragile», ha aggiunto Michele Ciambellini di Unicost. Secondo cui il rischio sarebbe quello di trasformare il Csm in «organo di irrilevanza costituzionale».