Per la maggioranza il prossimo fronte rovente sarà l’approvazione al Senato del nuovo codice antimafia. Approvato quasi due anni fa alla Camera il provvedimento è parcheggiato nella commissione Giustizia di palazzo Madama da allora. Conta 30 articoli, derivati dalla legge di iniziativa popolare sponsorizzata tra gli altri da Cgil, Libera, Acli, Lega Coop, Lega Ambiente e Centro Pio La Torre, poi inte- grati dalla Commissione Antimafia, e sull’urgenza del provvedimento nessuno discute. La confisca e la destinazione dei beni delle organizzazioni criminali è uno dei punti essenziali della lotta alle mafie, e anche uno dei più delicati. Dal 1982, in base alla legge La Torre, che per averla voluta ci rimise la pelle, sono stati confiscati 27mila beni mafiosi di diverso valore. Tra questi 11mila sono stati restituiti alla comunità e variamente utilizzati. Restano nel limbo 16mila tra palazzi, ville, supermercati, castelli e clini- che, senza contare le auto di lusso, per un valore che la presidente dell’Antimafia Rosi Bindi stima intorno ai 25 mld di euro. Il nuovo codice antimafia mira essenzialmente ad allargare l’area dei beni sequestrabili e a facilitarne la riallocazione. Il punto dolente riguarda soprattutto la prima voce. Le confische sono state allargate a chi protegge i latitanti, ai reati contro la Pubblica amministrazione e al caporalato. Tra i reati contro la Pa c’è infatti la “corruzione in atti giudiziari”, uno dei reati di cui è imputato Berlusconi nel processo Ruby- ter. Che Forza Italia stia muovendo mari e monti per modificare la legge è certo. Secondo Repubblica sarebbe sceso in campo, dopo un lungo periodo di panchina, lo stesso Gianni Letta. Ghedini nega però che Berlusconi sia coinvolto in nessun modo. La norma, recita il suo comunicato «non può come sa qualsiasi operatore del diritto, per la sua stessa struttura, trovare applicazione alcuna per il Presidente Berlusconi, per il quale tale modifica è del tutto indifferente». Secondo l’avvocato dell’ex Cavaliere ci sarebbero però «criticità tecniche» passibili di vanificare gli effetti della legge o addirittura di renderla controproducente.

Qualche dubbio in realtà è lecito. Non è solo propaganda la battuta del verdiniano Ciro Falanga secondo cui l’estensione della confisca al peculato d’uso permetterebbe il sequestro e gli arresti domiciliari anche a carico di un amministratore che «usi impropriamente la macchina». Nel complesso è difficile evitare la sensazione che, come già in altri casi, l’antimafia venga adoperata come testa d’ariete per l’estensione di misure draconiane anche a reati che con la mafia hanno poco a che spartire.

Sulla legge pesano 80 emendamenti. Il Pd e il governo, nonostante le pressioni azzurre, sono decisi ad approvare la riforma del codice senza apportare alcuna modifica. «E’ un provvedimento strategico e vogliamo che sia approvato in questa legislatura», dichiara la ministra per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro. Il capogruppo del Pd Zanda, in un colloquio diretto con Gianni Letta, avrebbe poi escluso qualsiasi possibilità di rallentare i tempi riportando la legge in commissione per limarla e modificarla. «La legge deve passare così com’è», ha sentenziato la presidente dell’Antimafia.

Ma la tenuta della maggioranza, su un provvedimento del genere, è a rischio. L’eventualità che qualche emendamento sia approvato, soprattutto visti i dubbi dei centristi e l’assenza del paracadute dei verdiniani, resta alta. Dunque, anche se per ora viene smentito, è probabile che alla fine il governo deciderà di mettere di nuovo la fiducia. Anche così, però, la legge, essendo già stata modificata, dovrà tornare alla Camera da dove, in caso di ulteriori interventi, dovrebbe poi passare di nuovo per il voto di palazzo Madama. Insomma, per il Nuovo codice antimafia comunque vadano le cose al Senato la settimana prossima si tratterà di una corsa contro il tempo.