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«È una vittoria importante che arriva dopo anni di immani sofferenze». A dirlo è l’avvocata pescarese Giuliana De Nicola, difensore del brigadiere dei carabinieri Giuseppe Di Risio, assolto perché “il fatto non sussiste” dall’accusa di usura e falso ideologico. La vicenda processuale a carico del sottufficiale inizia ad agosto del 2008 con il suo arresto da parte degli agenti del Commissariato di polizia di Lanciano. Ad accusare Di Risio, all'epoca in servizio presso la Compagnia carabinieri di Atessa (Ch), un imprenditore abruzzese suo amico a cui aveva prestato dei soldi, circa 120mila euro, mai restituiti. Un prestito fatto “in amicizia” aveva sempre dichiarato Di Riso, senza mai essere creduto. Anzi, secondo il capo d'imputazione, i soldi sarebbero stati prestati con un tasso di interesse astronomico, circa il 240 per cento l'anno.In primo grado Di Risio viene condannato a 3 anni e 8 mesi, che in appello a L'Aquila diventeranno 3 anni e 9 mesi. La Cassazione, nel 2014, confermerà. Nel 2018 la sentenza va in esecuzione e Di Risio, che aveva anche trascorso quattro mesi di carcerazione preventiva, inizia l'affidamento ai servizi sociali. A questo punto, però, entra in scena l’avvocata De Nicola che decide di chiedere la revisione del processo, con nuove prove, alla Corte d’appello di Campobasso, competente per i fatti giudicati in Abruzzo. L’avvocata De Nicola svolge indagini difensive, acquisisce testimonianze, filmati di telecamere e, soprattutto, ascolta intercettazioni telefoniche nei confronti di Di Risio che non erano state valorizzate in precedenza dagli inquirenti e non erano mai finite nel fascicolo del dibattimento. I giudici della Corte d'appello di Campobasso lo scorso marzo assolvono Di Risio con formula piena. Nessuna usura, dunque, ma un semplice prestito senza interessi che l'imprenditore, non volendo restituire, aveva fatto passare come un prestito da parte di uno strozzino. Adesso per il sottufficiale, chiusa la parentesi penale, inizia una fase altrettanto difficile: la richiesta danni per la carcerazione e le sofferenze patite in tutti questi anni.Di Risio, infatti, era stato sospeso dal servizio e poi posto in congedo dall'Arma. Quando arrivò la sentenza della Cassazione l'Amministrazione gli aveva intimato di restituire gli emolumenti percepiti in quel periodo, e questo pur avendo egli un figlio disabile a carico. «Sono stato distrutto a livello professionale, sociale e patrimoniale", ha dichiarato Giuseppe Di Risio, commentando la notizia della sua assoluzione divenuta definitiva questa settimana.«È stato un inferno: venni arrestato all'improvviso e portato al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Ce) senza poter prima avvisare nessuno. Mia madre mi vide in tv in manette ed ebbe un infarto da cui non si è più ripresa», ricorda Di Risio. I giudici nella sentenza hanno stabilito a suo favore anche "la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna, le spese processuali, e il risarcimento del danno in riferimento al reato di usura".«Trendadue anni di onorata carriera dedicata all'Arma sono stati annichiliti da questa vicenda. Mi auguro adesso di poter ricominciare a vivere», ha concluso il sottufficiale.