Leggete, leggete. Riguardate il decreto legge “Green pass”, al secolo il numero 105, il provvedimento che da venerdì scorso regola una parte non piccola delle nostre vite, e persino delle nostre vacanze. Osservate con attenzione i casi in cui la certificazione verde è prescritta. Ci sono i centri ricreativi al chiuso, per esempio. Non i campi estivi dei bambini, espressamente “graziati”. Qual è la logica? Semplice: stare nella Costituzione. Addirittura? Sì: c’è una certa differenza tra vietare ai non vaccinati la compresenza in un circolo al chiuso, come quelli in cui si gioca a carte nei piccoli centri, e impedire a una famiglia che ha preso le ferie a luglio, e in cui madre e padre lavorano ad agosto, di affidare i figli a centri estivi in cui inevitabilmente si mangia tutti insieme. Nel primo in caso infatti prevale agevolmente l’articolo 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute, bene primario dell’«individuo» e «interesse della collettività». Nel secondo caso la salute, individuale e pubblica, deve sì essere considerata ma, nel bilanciamento d’interessi che ogni legislatore è chiamato a realizzare, va coniugata con il diritto alla libertà personale, al lavoro, alla sussistenza. Si potrebbe andare avanti e notare come nel ricordato decreto, firmato dal presidente della Repubblica lo scorso 23 luglio, si imponga il green pass per diverse attività – dalla ristorazione al chiuso agli spettacoli (anche all’aperto) e agli eventi sportivi – tutte accomunate da un fatto: sono ambiti della vita sociale rilevanti ma non al punto da poter schiacciare il diritto alla salute, il contrasto della pandemia. È un aspetto assai significativo anche nell’ottica di quei cittadini che dalle nuove misure si sentono colpiti giacché non intendono vaccinarsi, o almeno non pensano di autorizzare la somministrazione per i figli minorenni. Cittadini che dovranno fare diverse rinunce, riguardo al tempo libero ma anche nell’accesso ai concorsi. E che potrebbero perciò essere tentati di ricorrere contro le misure, nel tentativo di ottenere da un giudice le facoltà ora precluse, e addirittura di vedere accolti i loro sospetti di incostituzionalità. Potrebbero pensare di farlo, forse già pianificano il ricorso. Ma difficilmente andranno a segno. Perché le disposizioni sulla certificazione verde in vigore dal 6 agosto sono scritte con scienza giuridica. Sembrano fatte apposta per resistere a eventuali tentativi di impugnazione. Agli eventuali ricorsi appunto. Potrebbe venire il sospetto che il legislatore, cioè l’esecutivo, si sia avvalso del Consiglio di Stato, che oltre a essere la massima giurisdizione amministrativa è anche organo consultivo del governo. Ma a parte il fatto che per i decreti legge non è previsto, non ve n’è comunque stato alcun bisogno. A proporre il Dl 105 del 23 luglio sono stati la presidenza del Consiglio dei ministri, cioè Mario Draghi, e il ministero della Salute, vale a dire Roberto Speranza. E basta scorrere i nomi dei giuristi che guidano gli uffici legislativi dell’una e dell’altra istituzione per comprendere come l’esecutivo, prima di deliberare (nel Consiglio dei ministri riunitosi il 22 luglio) l’approvazione del decreto Green pass, non abbia avuto bisogno di rivolgersi a Palazzo Spada: gran parte delle menti che hanno contribuito alla stesura di quel testo già provengono infatti dalla magistratura amministrativa. Anzi, proprio dal Consiglio di Stato. Si tratta di giudici fuori ruolo che il governo ha preso in prestito (in alcuni casi già da diversi anni) dalla giurisdizione per farsi supportare innanzitutto nella produzione normativa. Al ministero della Salute il Capo di Gabinetto è un ex consigliere di Stato come Goffredo Zaccardi. Proviene da Palazzo Spada anche il Capo dell’Ufficio legislativo Luca Monteferrante. Basterebbe a certificare come chi è abituato a fronteggiare le contestazioni legali relative a provvedimenti pubblici, come appunto i giudici amministrativi, abbia saputo ben calibrare i settori in cui imporre il green pass. Certo, un ricorso contro l’obbligo della certificazione verde, in realtà, competerebbe più probabilmente al giudice ordinario che al Tar. D’altra parte il giudice amministrativo è spesso anche un ottimo costituzionalista: l’attuale presidente della Consulta Giancarlo Coraggio è pur sempre un ex presidente del Consiglio di Stato. E da lì è stata data in prestito al governo, come fuori ruolo, un’altra figura certamente importante nella definizione delle ultime misure anti covid come Carlo Deodato, attuale capo del “mitico” Dagl, il dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, snodo decisivo per il quale passa qualsiasi legge di matrice governativa. Deodato, prima di interrompere l’attività giurisdizionale, è stato presidente di sezione, al Consiglio di Stato. Se proprio serve ricordarlo, poi, tenete presente che un’altra figura chiave del governo Draghi, certamente decisiva nelle scelte di questi mesi, è il sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli, anche lui già presidente di sezione a Palazzo Spada. Esattamente come il segretario generale della Presidenza Roberto Chieppa. Tutte intelligenze giuridiche che sanno come scrivere norme in grado di resistere ai ricorsi. Tanto per essere chiari: chi ancora spera di poter ottenere da un giudice il diritto di andare al cinema o al ristorante senza vaccinarsi, farebbe meglio a lasciar perdere.