Da sempre, cavallo di battaglia delle destre, dalla Lega al Movimento 5Stelle, è quello di espellere i detenuti stranieri e mandarli a far scontare il carcere nel loro Paese di origine. Un rimedio per sfoltire i nostri penitenziari, si dice sempre. Ma lo slogan rimane solo uno slogan. In realtà non può essere un automatismo. La materia dell'estradizione ha le sue regole, ed è disciplinata nell'ordinamento italiano, dalla Costituzione, dalla legge ordinaria, dalle Convenzioni internazionali e dalle norme di Diritto internazionale generale. Prendiamo il caso della recente sentenza numero 29224 di questanno. Il cittadino albanese Klement Mece, attraverso il proprio difensore, ha chiesto alla Cassazione di annullare la sentenza della Corte di appello di Roma del 27 aprile scorso, che ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per la sua estradizione, richiesta dall'Albania per l'esecuzione della sentenza irrevocabile di condanna alla pena di quattro mesi di reclusione, per il delitto di furto, inflittagli con sentenza del Tribunale di primo grado di Tirana del 12 luglio 2019. Due sono le doglianze proposte dal ricorrente. Quella ritenuta fondata dalla Cassazione riguarda il fatto che lalbanese verserebbe in condizioni di salute particolarmente compromesse, che rendono necessaria l'assunzione di terapie complesse e costose, in mancanza delle quali si troverebbe esposto al rischio di conseguenze di eccezionale gravità; ma, a fronte della relativa deduzione, debitamente documentata, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare l'insussistenza di condizioni di salute incompatibili con l'estradizione, senza tuttavia spiegarne le ragioni. Per la Cassazione, questo rilievo è fondato. In materia di estradizione per l'estero, la Corte di appello deve valutare, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, le circostanze allegate dall'interessato in merito al rischio di sottoposizione a un trattamento inumano o degradante, acquisendo informazioni individualizzate sul regime di detenzione che sarà riservato all'estradando, e valutando, oltre alle condizioni generali di detenzione esistenti nelle carceri dello Stato richiedente, anche le condizioni di salute e di età dell'estradando. Nello specifico, la Corte d'appello dà atto in sentenza della produzione difensiva di documentazione attestante problematiche di salute dell'interessato di sicuro rilievo (dal momento che ivi si legge di un'accertata compromissione della capacità lavorativa nella misura dell'85 percento), ma si limita ad osservare che «le condizioni di salute del soggetto non appaiono certo incompatibili con la eventuale di lui estradizione», senza però aver compiuto alcun accertamento e senza spiegare le ragioni per le quali giunge a tale determinazione. Questo riguarda un esempio sullestradizione. Altra cosa ancora è la procedura del trasferimento delle persone condannate, in base alla quale un condannato che sta già scontando la pena in un Paese viene trasferito in altro, quello d'origine, per proseguire e terminare l'esecuzione della pena.Una procedura che opera su un piano diverso rispetto all'estradizione: persegue, infatti, finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate, avvicinandole al Paese d'origine, in modo da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano personale, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un Paese straniero. Viene pensare da sé, che anche in questo caso vale il vaglio delle condizioni carcerarie del Paese di origine. Non cè, appunto, alcun automatismo.