C’è una corsa contro il tempo per approvare una nuova legge sull’ ergastolo ostativo che da un lato sia coerente con le linee di indirizzo fornite dalla Corte costituzionale e dall’altro eviti le conseguenze, ritenute gravi, di un intervento meramente “demolitorio”, come quello che la Consulta avrebbe potuto assumere se avesse emanato una sentenza e non dato un anno di tempo al Parlamento. Il problema è che la commissione Giustizia della Camera, dove è in corso l’esame della nuova legge, parte da un testo base pendente verso le posizioni della proposta M5S, con diversi punti critici stigmatizzati dai magistrati di sorveglianza, da alcuni giudici con un passato di lotta al terrorismo e alla mafia come Guido Salvini, dai rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati, dalle Camere penali e da altri giuristi competenti in materia.

Tra gli studiosi che nelle ultime ore la commissione Giustizia ha audito informalmente in videoconferenza, c’è Davide Galliani, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso la Statale di Milano. Galliani ha avanzato delle riflessioni sul testo base che i deputati hanno adottato, e da cui dovrà venir fuori la proposta da votare in Aula.

Riportiamo solo alcune, fra le riflessioni del giurista milanese. Il primo punto critico è la eliminazione tout court della collaborazione impossibile, irrilevante o inesigibile. Il professor Galliani consiglia di meditare bene sulla eliminazione. «Da una parte – ha spiegato – è vero che sono ipotesi che la Consulta ha introdotto, e il legislatore recepito, in presenza della presunzione legislativa assoluta e che, pertanto, superata tale presunzione, potrebbero anche cadere. Dall’altra parte è però anche vero che, rileggendo le sentenze della Corte costituzionale, appare chiaro che i non collaboratori non possono essere trattati tutti allo stesso modo». Per questo, ha messo in guardia Galliani, la situazione che si potrebbe produrre oggi, se la riforma sul punto fosse confermata, è esattamente la stessa di quella che già si verificò nel ’94 e nel ’95: chiamata a pronunciarsi sull’eliminazione della collaborazione impossibile, irrilevante o inesigibile, la Consulta, ancorché di fronte ora a una presunzione legislativa relativa, potrebbe rifarsi comunque al principio di eguaglianza ex articolo 3 della Costituzione.

Altro punto critico sono gli aumenti di pena per chiedere i benefici. «Il legislatore ha un margine di intervento ampio – ha spiegato il professor Galliani – sempre che le scelte non risultino irragionevoli, quindi in violazione dell’articolo 3 della Costituzione». Davanti alla commissione Giustizia, Galliani ha sottolineato come questo sia però lo scenario che si prefigura nel caso degli ergastolani in riferimento alla parificazione del tempo da scontare per domandare tanto la semilibertà quanto la liberazione condizionale. «Se oggi sono, rispettivamente, 20 e 26 anni – ha evidenziato il professore –, con la riforma diventano 30 anni in entrambi i casi. La violazione dell’articolo 3 della Costituzione è evidente, poiché si trattano in modo eguale situazioni differenti, semilibertà e liberazione condizionale, con effetti peraltro già fortemente censurati dalla Consulta nella sentenza 149/ 2018, la quale si era confrontata con una circostanza del tutto simile, visto che nel caso di specie, sequestro di persona a scopo di estorsione con morte del sequestrato, all’ergastolano era permesso domandare la semilibertà esattamente scontato lo stesso periodo richiesto per domandare la liberazione condizionale, ossia 26 anni».

Non solo. L’aumento da 26 a 30 anni per gli ergastolani in sede di domanda di liberazione condizionale, in chiave comparata, porterebbe l’Italia in cima agli Stati del Consiglio d’Europa per numero di anni da scontare prima di poter domandare la liberazione condizionale.

Interessante un dato che il professor Galliani ha fatto emergere a proposito della necessità di un intervento diretto sulla collaborazione con la giustizia. Ha snocciolato dei dati: al 31 dicembre 2020, erano nel sistema di protezione 1.007 collaboratori, ai quali sommare 3.776 famigliari. In media da 6 anni, ma il 20% da 10 anni. Si consideri che il 40% dei famigliari è minorenne e di questi il 20% è in età prescolastica (6 anni).

Ebbene, secondo il professore, è necessario un intervento che aumenti le risorse umane e professionali: esistono solo tre psicologi per tutte le persone rientranti nel sistema di protezione, che annovera qualcosa come 5.015 persone coinvolte, poiché ai collaboratori e famigliari si devono aggiungere i 55 testimoni di giustizia e i loro 177 famigliari. «Anche se le motivazioni sono differenti, un altro dato non può che far riflettere: dal 2016 alla fine del 2020 non si è avuto alcun cambio di generalità, e si consideri che il documento di copertura non è mai obbligatorio. Anche l’assegno di mantenimento stabilito in termini tabellari non sempre è adeguato alle diverse specificità dei diversi casi», ha sottolineato Galliani. Ha aggiunto che gli interventi non sono solo questi, «ma quello che dovrebbe ispirare questa parte della riforma è la necessità di aumentare la individualizzazione del trattamento dei collaboratori di giustizia».