Equo compenso “scontato” per la Pubblica amministrazione. Con sommo sconcerto di chi, come gli avvocati, ancora una volta rimane escluso dai ristori previsti per l’emergenza Coronavirus. E la rassicurazione, da parte di chi la norma l’ha scritta, che ogni possibile vuoto che rischia di creare fraintendimenti verrà colmato. Al centro del dibattito l’articolo 3 della proposta di legge in materia di equo compenso, che porta come prima firma quella del leghista Jacopo Morrone. Un avvocato anche lui, da sempre pubblicamente schierato a fianco della categoria.

E anche il preambolo della norma conferma questa volontà: lo scopo, si legge, è quello di salvaguardare i professionisti dai grandi committenti ed evitare «situazioni paradossali nelle quali si è giunti a ipotizzare che il lavoro possa essere retribuito in base a un prezzo simbolico, consistente in un compenso minimo aberrante» o a titolo gratuito, come addirittura avvenuto con i bandi indetti da alcuni ministeri. Ma adesso a far discutere è proprio un articolo contenuto in questo testo. «La Pubblica amministrazione e gli agenti della riscossione applicano, in relazione alle prestazioni rese dai professionisti, le disposizioni in materia di equo compenso stabilite dall'articolo 2, prevedendo che i compensi siano ridotti della metà», recita l’articolo 3. Insomma: compenso dimezzato. A spiegarne le ragioni, annunciando future modifiche per evitare ogni possibilità di fraintendimento, è lo stesso Morrone. «La ratio di questo articolo è legata al numero e alla ripetitività degli atti svolti - precisa al Dubbio -. Per esempio quelli dell'Agenzia delle Entrate, eseguiti in “ciclostile” e per i quali cambia solo l’importo o il nominativo. In ogni caso, il compenso così stabilito sarebbe comunque di gran lunga superiore a quello previsto oggi». Secondo quanto spiegato dall’ex sottosegretario alla Giustizia, che discusse della questione al tavolo sull’equo compenso aperto al ministero, gli atti a cui l’articolo 3 fa riferimento sono, dunque, esclusivamente quelli ripetitivi, «in quanto non si può pretendere che abbiano lo stesso valore di atti che necessitano analisi più accurate». Che, assicura dunque, vengono esclusi da questa previsione. Ma data la confusione generata tra gli addetti ai lavori, l’articolo, promette Morrone, verrà migliorato attraverso gli emendamenti. «Ci occuperemo di specificarlo meglio per non destare alcun tipo di dubbio. L’equo compenso è fatto per tutelare i diritti al pagamento del servizio prestato dal libero professionista, quindi non andremo mai contro questo principio», rassicura.

Il ddl verrà incardinato in settimana in Commissione Giustizia alla Camera, come annunciato al Dubbio nei giorni scorsi dal presidente della stessa, il grillino Mario Perantoni. «Nel caso degli avvocati - si legge nel ddl -, non può ulteriormente sottacersi che la prestazione professionale è resa a tutela di interessi costituzionalmente garantiti in un ambito, la giustizia, cruciale in qualsiasi democrazia occidentale e che in tal senso un compenso minimo garantito non può che garantire a sua volta il cliente da prestazioni professionali di bassa qualità. Pertanto, non sembra poter essere più rinviabile una riforma che consenta alle libere professioni di recuperare la centralità che spetta loro nel sistema Paese e che certamente non può prescindere dall'assicurare loro un compenso minimo garantito».

Ma a chiedere maggiore chiarezza è, in primo luogo, l’avvocatura. «In un momento come questo, in cui siamo esclusi dai tribunali e costretti alla trattazione scritta, in cui ogni provvedimento emanato non prevede un effettivo ristoro per gli avvocati, che si trovano in grave difficoltà economica - sottolinea Stefano Bertollini, consigliere del Consiglio nazionale forense e componente della Commissione compensi e concorrenza, tra i partecipanti al tavolo ministeriale -, anche questo atto rischia di creare un danno alla categoria. La Pubblica amministrazione affida agli avvocati una quantità di cause difficilissime, proprio per gli errori che commette. Così, con un provvedimento che appare punitivo, si fanno pagare agli avvocati le inefficienze degli altri. Ma ci faremo sentire».

La proposte prevede, tra le altre cose, la conformità del compenso conforme ai parametri definiti dai decreti ministeriali, considerando vessatorie le clausole che prevedono la possibilità di modificare unilateralmente le condizioni del contratto, la facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto e la pretesa di prestazioni aggiuntive a titolo gratuito. Ma anche l’anticipazione delle spese a carico del professionista, la rinuncia al rimborso delle spese, termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data di ricevimento della fattura e il riconoscimento all'avvocato del minore importo previsto nella convenzione per il pagamento delle spese di lite. Clausole che verranno considerate nulle, mentre il contratto rimarrà valido per il resto. La norma prevede anche la possibilità di class action a tutela dei diritti dei professionisti e un Osservatorio nazionale sull'equo compenso istituito presso il ministero della Giustizia, composto da un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali e presieduto dal ministro della Giustizia o da un suo delegato. Ipotesi, questa, che sembra istituzionalizzare in modo permanente il nucleo di monitoraggio sull'equo compenso già istituito a via Arenula con l’intesa fra Bonafede e il Cnf del luglio 2019.