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La candidatura alle primarie del Pd da parte del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, magistrato fuori ruolo dal 2004, ha riacceso in questi giorni il dibattito sul rapporto fra politica e toghe. Da anni si discute, senza alcun risultato, di come regolamentare il passaggio dalla magistratura alla politica e il successivo ritorno. La soluzione migliore, caldeggiata anche da molti magistrati, potrebbe prevedere che una volta terminato il mandato da sindaco, presidente di Regione o parlamentare si venga destinati ad altri incarichi nella pubblica amministrazione. Perché, come viene ricordato spesso, oltre ad essere imparziale, la toga deve anche apparire tale. La vicenda Emiliano è, però, paradigmatica di come il tema ( non) venga affrontato.
Che Emiliano fosse iscritto al Pd è noto dal lontano 2007, anno in cui il magistrato barese venne eletto segretario regionale del Pd in Puglia, per poi diventarne pre- sidente. Cariche che, come si legge nello statuto del Pd, prevedono l’obbligo di essere iscritti al partito. L’iscrizione ad un partito politico, però, è espressamente vietata per le toghe ed è causa di procedimento disciplinare. Il divieto vale anche per i magistrati cosiddetti “fuori ruolo” tipo Emiliano, come ribadito da una sentenza della Corte costituzionale del 2009 e da una sentenza della Sezione disciplinare del Csm del 2010. Solamente a ottobre del 2014, dopo un’istruttoria durata ben undici mesi, il procuratore generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare, ha chiuso le indagini su Emiliano, chiedendo quindi al Csm a luglio dello scorso anno la fissazione dell’udienza. Che era stata inizialmente fissata per il 6 febbraio 2017, per poi essere rinviata al 3 aprile dopo che Emiliano ha comunicato di voler revocare la nomina del primo difensore, nominando al suo posto il procuratore di Torino Armando Spataro. In caso di condanna, Emiliano sarebbe costretto a lasciare la toga. Sull’esito del procedimento, a Palazzo dei Marescialli nessuno azzarda previsioni. Non risultano precedenti specifici e la vicenda è molto delicata. Il laico Pierantonio Zanettin, indicato da FI, che non è componente della sezione disciplinare, non si sottrae dall’esprimere la sua opinione. «In nessun Paese europeo sarebbe solo lontanamente immaginabile che un magistrato in carriera possa essere candidato alla guida di un partito politico. Grande o piccolo che sia. Il tema del rapporto tra giudici e politica», sostiene Zanettin, «è ciclico: da parlamentare, prima alla Camera nel 2001, poi al Senato nel 2013, presentai un disegno di legge, che aveva l’assenso della maggioranza e dell’opposizione, per regolamentare in maniera più efficace la materia. Ma in entrambi i casi non successe nulla». Su Emiliano, dice il consigliere, «in questi anni si è chiuso un occhio, forse perché prima aveva un ruolo politico più defilato. Certamente - aggiunge Emiliano ha tenuto in questi mesi un atteggiamento che rasenta il folclore: dopo aver minacciato la scissione dal Pd si è candidato alla segreteria del partito. Mi aspetto che dal Csm ci sia su Emiliano una pronuncia esemplare. Chi tiene comportamenti simili non può certamente continuare a rivestire come nulla fosse la toga da magistrato» .