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Da qualche settimana, nella spiaggia di Platamona, vicino a Sassari, vive in tenda un'anziana signora di 80 anni. È senza fissa dimora e ha deciso di rifiutare gli alloggi messi a disposizione dal comune: gli orari sono troppo rigidi per le uscite e i rientri, perché gli ricordano la dura vita penitenziaria. Parliamo di una ex detenuta che ha passato 20 anni in carcere con l'accusa di aver fatto parte dell'anonima sarda. Una storia, la sua, piena di dolori ma anche di umanità e grande lotta per la sopravvivenza. Si chiama Elsa Sotgia e prima dell'arresto conduceva una vita normale, lavorava in un negozio di mobili a Sassari e aveva una famiglia con tre figli. Poi tutto cambiò per un innamoramento: divenne la compagna di Antonio Felline, allora, l'imprenditore laureato in legge considerato dagli inquirenti uno dei cervelli della banda che mise a segno decine di rapimenti. Elsa Sotgia finì a processo per concorso nel sequestro dell'imprenditore sassarese Pupo Troffa, prelevato dall'Anonima nel 1978 e rilasciato nove mesi dopo dietro il pagamento di un riscatto da 900 milioni di lire, e giudicata responsabile fu condannata a vent'anni di carcere.Si dichiarò innocente, da sempre. Quando venne arrestata, non resse. Cominciò la depressione. Ingerì una forte dose di tranquillanti e rischiò di morire. Poi, quando cominciò a scontare la pena a vent'anni di reclusione, la sua carcerazione fu segnata da una lunga serie di scioperi della fame: si nutriva esclusivamente di cioccolatini e caramelle. Scontata definitivamente la pena nel 2008, arrivarono nuovi dolori: le morì una figlia. Elsa rimase senza una casa e allora le si prospettò la vita da clochard.Per molti anni aveva bivaccato nel parco comunale di Gorizia, nel Friuli. Una notte venne perfino bruciata la sua panchina che utilizzava come letto, insieme con le valige che lei si portava appresso. La città friulana le si era stretta dandole solidarietà e affetto. "Qualcuno ha cercato di cacciarmi, bruciando la panchina su cui dormivo e distruggendo tutte le mie cose ma io rimango qui. Sono sarda, ho la testa dura. Mi bastano un sacco a pelo e un pacchetto di sigarette. Di altro, non ho bisogno", raccontò Elsa Sotgia ai cronisti de Il Piccolo di Trieste, il quotidiano locale. Quando scoppiò l'incendio, lei sulla panchina per fortuna non c'era. Una combattente, Elsa Sotgia. Non solo durante la sua vita carceraria, ma anche fuori. Da qualche settimana ha fatto ritorno nella sua città natale e ha rinunciato all'alloggio comunale: ha deciso di vivere in tenda ogni giorno sulla spiaggia sassarese, a due passi dalla rotonda. Vuole stare lì, in completa libertà, nonostante i vigili urbani abbiano più volte cercato di convincerla a spostarsi in ostello.