Due sono gli ergastoli, quello “ordinario” e quello “ostativo”.

Quest’ultimo è una tipologia di pena nata dal combinato disposto tra la norma codicistica, che contempla l’ergastolo ordinario e la norma del 4 bis dell’ordinamento penitenziario introdotta dal decreto emanato dopo la strage di Via Capaci. Per i delitti “ostativi” indicati nel 4 bis, l’eventuale condanna all’ergastolo non consente, in assenza della collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art.58- ter., l’accesso ai benefici penitenziari.

Ad esempio c’è Giovanni Brusca, conosciuto per aver trucidato 200 persone e ordinato di sciogliere un bambino nell’acido ( Giuseppe Di Matteo), che – avvalendosi della collaborazione – sta scontando un ergastolo ordinario accedendo ai benefici della pena ( permessi premio, etc) e uscirà tra un anno e mezzo.

Mentre altri detenuti ergastolani, anche per aver ucciso una sola persona ( di solito di una cosca rivale), se non collaborano con la giustizia - nonostante abbiano intrapreso un percorso trattamentale e critico verso il passato – sono condannati ad una pena perpetua e senza alcuna possibilità di accedere a misure alternative.

In questi giorni si fa anche confusione con il 41 bis, il cosiddetto carcere duro, che prevede regole più restrittive per la detenzione onde evitare che il boss veicoli messaggi all’organizzazione di appartenenza. Non c’entra con l’ergastolo, così come non c’entra nulla con la sentenza Cedu e con la decisione che dovrà prendere la Corte costituzionale il 22 ottobre.

La Corte europea ha semplicemente sentenziato, per quanto riguarda gli ergastolani ostativi, che la legge debba prevedere, dopo un congruo numero di anni, che il giudice possa stabilire – anche in assenza di collaborazione - se la persona che sta eseguendo una condanna all’ergastolo rappresenti ancora un pericolo per la società esterna e abbia o meno ancora legami criminali.

Nessun automatismo concessivo, quindi, ma soltanto la possibilità di valutare la persona, senza inchiodarla al reato commesso 25 o 30 anni prima.