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È morto, pochi giorni dopo aver fatto ricorso alla sedazione profonda, l’ex presidente della Regione Emilia Romagna, Antonio La Forgia. L'ex deputato di Ulivo e Pd aveva 78 anni ed era malato da oltre un anno e mezzo di una forma grave di tumore. Tra i primi a ricordarlo, l’attuale governatore, Stefano Bonaccini: «Se ne va per sempre un uomo di grande cultura, mai sopra le righe, forte della sua forza di pensiero. Un politico in grado di intravvedere prima il futuro e tracciare la strada di un riformismo che guardasse in primo luogo al rinnovamento delle istituzioni e del Paese. Senza dubbio uno dei protagonisti della costruzione di un’Emilia-Romagna dalle solide fondamenta sociali e capace di guardare avanti, alla pari delle aree più all’avanguardia in Europa e nel mondo». Solo un paio di giorni fa, in un lungo post su Fb scritto nella notte, la moglie del politico, Mariachiara Risoldi, aveva spiegato come si è arrivati alla sedazione profonda. Forlivese di origine, la Forgia era da tempo malato di una forma incurabile di tumore ai polmoni. «Dopo colloquio - ha scritto la moglie riportando parte della documentazione che ha dato avvio al processo - con il paziente e la moglie, sulla linea della DAT si inizia sedazione palliativa con morfina ogni 4 ore. Viene dato il consenso». «Antonio - ha commentato - ha iniziato un viaggio di sola andata, con serenità, con la sua grande famiglia allargata attorno. Per la legge il suo corpo è costretto ad essere ancora qui, mentre la sua mente è già arrivata in un luogo leggero. Siamo un paese veramente ipocrita». Il punto è infatti quello della mancanza nel nostro paese di una legge sull’eutanasia. «Un dolore troppo lungo - ha scritto ancora la donna -. Quadro clinico del 6 giugno 2022: una metastasi in D10 e sulle costole, raggiunto il midollo, causava una paraplegia, altre sparse lungo la colonna causavano un dolore in crescita esponenziale non contenibile con la terapia antalgica che non riusciva a tenere il passo con l’aumento dello stesso. Antonio si confronta con la famiglia allargata, a cui è consapevole di arrecare un dolore, ma da cui riceve sostegno e solidarietà e decide di avvalersi della legge 219/2017 rifiutando e sospendendo qualsiasi terapia, ivi incluse quelle salvavita». Effetto diretto del rifiuto o della sospensione di terapie salvavita, ricorda ancora, «è la morte. Questa, a seconda del trattamento rifiutato o sospeso, non sempre è rapida. Per evitare dolore, nella fase terminale che si viene a creare con il rifiuto o l’interruzione di terapie salvavita, il medico può aiutare il paziente attraverso una sedazione palliativa profonda continua. Quello che la legge non contempla- aggiunge Mariachiara Risoldi - è la possibilità di mettere fine alla propria vita in breve tempo. Antonio 27 ore fa viene sedato. Gli ultimi quindici minuti ci salutiamo noi. Trentatrè anni di vita assieme, un saluto scherzoso: "Tu lassù non sedurre troppe signore", "quando sarà il momento ti verrò a prendere", sono le ultime parole sussurrate, mentre gli occhi si chiudono». E ancora: «La mente ironica e brillante di Antonio non c’è più», la famiglia allargata su alterna a fargli compagnia, al respiro faticoso si alternano le carezze: «Quel congedo sereno, amorevole, perfino allegro, dopo 26 ore per i familiari assume le sembianze di una inutile tortura».