Costi esorbitanti e una evidente discrepanza di spese che varia a seconda i distretti. Parliamo della spesa riguardante la gestione delle intercettazioni che resta una di quelle con il maggior impatto sul portafoglio del ministero della Giustizia visto che parliamo di quasi 200 milioni di euro l’anno. I dati parlano chiaro e sono messi a disposizione dalla direzione generale di statistica del ministero. Nel 2017 – ultimo dato disponibile, ma indicativo – risulta che la spesa totale da parte dei tribunali è di 197.830.372 euro. Di questi, ben 168.751.695 sono spesi per le sole intercettazioni ambientali e telefoniche. Sempre dalla statistica del ministero si possono estrarre i numeri dei “bersagli”, ovvero gli strumenti intercettati ( non le persone intercettate che per evidenti motivi potrebbero risultare molte di più), e si evince un totale di 127.813 agganci. La statistica li divide anche per distretti, così c’è la possibilità di fare una media dei costi. Cosa si scopre? Che alcune procure spendono di più in intercettazioni, rispetto alle altre. Primeggia la procura di Palermo che nel solo 2017 ha speso 30.710.264 di euro in intercettazioni per un totale di 8.948 bersagli. Napoli 16.963.668 euro, ma di bersagli ne ha fatti 16.540. Quindi, facendo la proporzione, Palermo spende di più rispetto a Napoli, nonostante abbia fatto la metà di bersagli. Andiamo nei dettagli al livello regionale. Partiamo dai dati in Sicilia, dove Palermo vanta un primato schiacciante sugli altri distretti: infatti è il distretto palermitano che si aggiudica il primo posto in assoluto rispetto a Catania, a Messina e persino a Caltanissetta. Si passa dai 30.710.264 euro spesi a Palermo, ai 5.887.528 euro spesi dal distretto di Catania fino ai 1.885.706 euro spesi a Messina, con un costo dell’ultimo distretto almeno 15 volte più basso del primo. Molto ridotto anche il costo per le intercettazioni nel distretto di Caltanissetta, che spende solo 3.284.762 di euro, cioè circa 10 volte in meno di Palermo. I conti della spesa non vanno tuttavia di pari passo con le attività effettivamente svolte: Palermo, che sarebbe la più costosa in termini di spesa per l’erario anche a livello nazionale, conserva in Sicilia il primato regionale con 8.948 bersagli, ma non fa lo stesso a livello nazionale, dove c’è il distretto di Napoli che con 16.540 bersagli - tra intercettazioni ambientali e telefoniche - si aggiudica il primo posto. Insomma Palermo spende quasi il doppio di Napoli, ma i bersagli agganciati sono circa la metà.

Roma in termini di rapporto tra costi e bersagli non è da meno rispetto a Napoli: è tra i distretti che hanno speso di più per le intercettazioni, ma in rapporto alla primatista Palermo ( 12.229.262 rispetto a 30.710.264), che ha raggiunto quasi il triplo di spesa, ha agganciato circa 13.670 bersagli, cioè almeno il 30% in più dei 8.948 agganciati dal distretto palermitano. A Milano dai costi per l’erario sembra si facciano meno intercettazioni, ma il numero di 9.980 bersagli nel 2017 - circa 1000 in più di quelli del distretto palermitano - conferma che il dato è solo apparente: la spesa per l’erario di 13.305.693 euro è meno della metà di quella del distretto palermitano, ma a fronte di un minor numero di bersagli agganciati.

In Puglia i costi molto bassi sembrano indicare uno scarso ricorso al mezzo di prova delle intercettazioni, almeno facendo un confronto con i costi degli altri distretti: dai 4.294.476 di Bari ai 2.410.716 di Lecce. I bersagli agganciati risultano essere 4.921 dal distretto di Bari e 2.941 da quello di Lecce.

In Calabria, il distretto di Reggio Calabria vanta il primato sul distretto di Catanzaro con un netto distacco: dai 18.854.523 di euro per i costi assunti dal primo rispetto ai 7.949.577 di euro del secondo, cioè quasi un rapporto di tre a uno. La netta differenza tra le due somme non corrisponde al numero di bersagli che sono pressoché analoghi: 7.457 al distretto di Reggio Calabria contro i 6.390 di Catanzaro, a fronte di una spesa per l’erario doppia per il primo distretto rispetto a quella del secondo.

In Campania i costi assunti dal distretto di Napoli, pari a 16.963.668, sono otto volte superiori ai 2.450.395 di euro spesi a Salerno: l’indice del maggior ricorso all’uso dell’intercettazione, in termini così esorbitanti, potrebbe far pensare ad una più intensa attività di indagini sui reati che per legge consentano le intercettazioni, oppure semplicemente ad un “eccesso di zelo” degli investigatori nell’utilizzo di una prova così invadente per la raccolta di informazioni. In effetti i bersagli agganciati a Napoli nel 2017 sono stati 16.540 contro i 2.844 di Salerno, cioè quasi otto volte di più. Campobasso, Trento, Perugia, Messina, Ancona, Brescia, Potenza: i distretti che meno ricorrono all’uso dell’intercettazione, con un costo per l’orario ben al di sotto dei 2.000.000. Si potrebbe pensare che a gravare l’erario di maggiori spese per lo svolgimento delle intercettazioni, che siano ambientali o telefoniche, risultano essere i distretti maggiormente interessati da procedimenti per criminalità organizzata quelli che importano i maggiori costi all’erario. Ma entrando nel dettaglio, questo non si evincerebbe. Prendendo ad esempio Palermo, notiamo che il numero dei bersagli per quanto riguarda le attività anti mafia ( la DDA) risulta essere di 3.406 sul totale di 8.948, quindi meno della metà rispetto all’utilizzo per le altre attività di tipo ordinario.

A conti fatti, tra le voci di spesa pagate dall’erario per le attività degli Uffici Giudicanti e Requirenti, la spesa maggiore resta quella sulle intercettazioni telefoniche pari a un totale di 168.751.695 per l’anno 2017: tuttavia, dalla lettura dei numeri, non è detto che ad un costo più alto corrisponda un altrettanto alto numero di attività svolte rispetto ai distretti più parsimoniosi. La filiera degli ascolti presenta un fatturato milionario. Sono 148 le imprese private attive nel settore delle intercettazioni associate all’Iliia, l’associazione di riferimento delle aziende che si occupano di servizi di intelligence e intercettazioni contro la criminalità. Ma la gestione dei costi, con l’attuale parcellizzazione degli appalti, presenta con tutta evidenza un problema dove esistono procure virtuose e altre no.