Una lezione sul significato costituzionale del processo e su come il pm debba farsene interprete: la si legge nella nota diffusa domenica scorsa da Magistratura democratica, lo storico gruppo “di sinistra” delle toghe. Un punto di svolta, che sancisce la distanza rispetto alla “sfida” lanciata da Nicola Gratteri ai colleghi giudicanti. Ma anche il segnale di un allarme scattato fra i magistrati dopo l’intervista del procuratore di Catanzaro al Corriere della Sera.

«Noi facciamo richieste, se altri giudici scarcerano non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni», ha detto Gratteri, senza confutare, nella successiva risposta, l’impressione, che volesse alludere addirittura a collusioni dei magistrati. Parole in ogni caso piene di spirito antagonista nei confronti dei giudici. Ne sono venuti un esposto dell’Unione Camere penali al Csm, e anche la seguente, coraggiosa considerazione da parte di “Md”: «Crediamo nel ruolo del Pubblico Ministero che, quale primo tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali, agisce nella consapevolezza della necessaria relatività delle ricostruzioni accusatorie e della necessità di verificarle nel contraddittorio, e non in quello di parte interessata soltanto al conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e dall’attenzione all’accertamento conseguito nel processo. E crediamo nell’impegno dei magistrati che, anche nei contesti territoriali più difficili, continuano a svolgere con questa consapevolezza le loro funzioni, incarnando una giurisdizione terza e imparziale, vera precondizione per un esercizio corretto del difficile compito di giudicare».

Parole esemplari, che non a caso il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza ha definito «lucidissime» nella successiva lettera con cui ha invitato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia a non «liquidare frettolosamente» il caso. Dietro lo “strappo” compiuto da Gratteri a proposito dell’indagine che vede coinvolto anche Lorenzo Cesa, c’è infatti qualcosa di assai più profondo, e “pericoloso” per la magistratura associata. Lo spiega quel passaggio in cui le toghe di “Md” dichiarano di non credere a un ruolo del pm «lontano dalla cultura della giurisdizione».

Formula, quest’ultima, cruciale nel dibattito sulla giustizia penale, perché sempre citata come ostativa alla separazione delle carriere. Consegnare il pm a un percorso distinto da quello del giudice — è la tesi con cui proprio l’Anm si oppone alla riforma — vorrebbe dire sollevarlo dall’onere di svolgere indagini anche a vantaggio della persona accusata. Ma di un simile approccio, quanto si è avvertita la mancanza, in tante indagini ostinatamente condotte? Una logica come quella affermata da Gratteri è propria solo del procuratore di Catanzaro o è coltivata, seppur in silenzio, da tanti altri pm? La propensione a ritenere vera la seconda ipotesi dà forza alla battaglia dell’Ucpi sulla separazione delle carriere, non a caso riaffiorata nella crisi politica di queste ore. In attesa di capire se il confronto sulla riforma costituzionale si riaprirà davvero, non è escluso che il pericolo spinga intanto la magistratura a cercare al proprio interno un’attenzione al garantismo che non sempre in questi anni i pm più “mediatici” hanno mostrato di coltivare.