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«Non credo proprio si possa dire che le norme in materia di prevenzione contenute nel Codice antimafia indeboliscano le garanzie. È casomai vero il contrario: viene procedimentalizzato un sistema che già esiste, che alcuni Tribunali già applicano a reati diversi da quelli di mafia e che ora viene definito in modo da rendere tutto più razionale e garantito». Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, si trova ancora una volta di fronte a quello che per lei è un paradosso: un provvedimento esaminato e costruito a Montecitorio suscita allarme proprio quando, al Senato, ci si accinge a votarlo in una forma attenuata rispetto a quella approvata alla Camera. Era andata così con la prescrizione, succede di nuovo con le norme sui sequestri preventivi ai presunti corrotti inserite nel Codice antimafia.
Come si spiega la tendenza del dibattito ad arroventarsi solo molto dopo la prima approvazione delle norme?
Viene il sospetto che si tratti di una reazione eccessiva dovuta alla preoccupazione per uno status quo che cambia. O più probabilmente c’è l’abitudine dei media a seguire l’iter delle leggi solo al momento dell’approvazione in Aula: così gli elementi messi in evidenza dai giornali provocano reazioni ingigantite, basate a volte un po’ sul sentito dire più che sull’esame compiuto del provvedimento.
Nello specifico i sequestri i presunti corrotti prevedono però che si proceda anche in assenza di abitudinarietà del soggetto rispetto al compimento di determinati illeciti.
E no, un momento. Innanzitutto ci deve essere una chiara pericolosità del soggetto in questione. Si parla di reati gravi, non dell’abuso d’ufficio e nemmeno più del peculato, che le ultime modifiche hanno escluso dal novero delle condotte interessate. Il quadro che deve emergere nelle indagini deve essere circostanziato e, sempre in base alla modifica della scorsa settimana, ora richiede anche l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di corruzione. Un elemento che quindi rimanda ad un’organizzazione stabile magari permeata nei gangli di un’amministrazione pubblica e in grado di poter incidere sulla regolare attività di un ente.
Non mi pare poco. Alla luce di questo, mi meraviglia che, dopo due anni di discussione qui alla Camera e poi al Senato, ora si scateni tanta polemica. Sono molto perplessa.
Perché, con le nuove norme, le procedure sarebbero più garantite per l’indagato?
È previsto che il destinatario debba essere convocato e che gli si debba notificare una contestazione del tutto assimilabile a un capo d’imputazione. Le segnalazioni possono arrivare dal questore, dalla Dia, ma il vaglio tocca a un procuratore distrettuale, a un pm e a un giudice specializzato. Vanno comunque condotte indagini patrimoniali che facciano emergere disponibilità sospette, e in ogni caso il procedimento di prevenzione è soggetto a tre gradi di giudizio. Poi guardi: il tutto è stato preceduto da un’indagine conoscitiva della commissione Antimafia e soprattutto da risoluzioni votate all’unanimità in entrambi i rami del Parlamento. Vorrei anche ricordare che le misure provengono da una legge d’iniziativa popolare.
Quindi c’è chi aveva preceduto Ingroia e Di Matteo anche fuori del Parlamento?
Non mi piace rivendicare primogeniture ma raccontare fatti, e in questa legislatura credo abbiamo dato prova in diverse occasioni dell’impegno concreto per dare corpo e realtà ai programmi.
Cantone, il presidente emerito Flick e altri avvertono: estendere i sequestri previsti oggi solo per la mafia può provocare una sentenza sfavorevole della Corte europea.
Il rischio credo sarebbe effettivo se il presupposto della pericolosità, e quindi dell’eventualità che vengano commessi altri reati, fosse enunciato nella legge in modo vago. Invece deve trattarsi di una pericolosità concreta ben desumibile da diversi elementi, e collegata al dato qualificante dell’associazione a delinquere. La corruzione inoltre è un fenomeno spesso intrecciato con quello mafioso.
Sulla giustizia c’è lo scontro tra la risposta al giustizialismo diffuso da una parte e forme estemporanee di garantismo dall’altra?
Voglio essere chiara: rispedisco al mittente l’accusa secondo cui sul Codice antimafia come su altri provvedimenti la maggioranza avrebbe assecondato l’opinione pubblica con un approccio da populismo penale.
Non è così. Molte misure sono allo studio da anni, almeno per quanto riguarda il Pd. La riforma della prescrizione era nel nostro programma del 2008. Il Codice antimafia contiene proposte avanzate da noi in commissione Giustizia quando ministro dell’Interno era Maroni. L’intera riforma penale raccoglie le indicazioni di quattro commissioni di studio composte da magistrati, avvocati e professori universitari. Non mi pare proprio si possa dire che abbiamo legiferato sull’onda del momento. E poi il nostro cosiddetto iperattivismo è in realtà conseguenza di omissioni altrui.
A cosa si riferisce?
Al fatto che per alcuni anni i governi di centrodestra hanno lasciato inaridire i campi delle proposte avanzate, anche dalla dottrina, in materia di giustizia, per fare spazio alla depenalizzazione del falso in bilancio o alla ex Cirielli. Noi all’improvviso ci siamo trovati con i rilievi del ‘ Greco’ del Consiglio d’Europa, dell’Ocse, di tutti i possibili organismi internazionali e abbiamo dovuto correre. E una legge come quella sull’autoriciclaggio era stata sollecitata da Pietro Grasso quando era procuratore nazionale Antimafia.
Durante il question time il ministro Orlando ha detto che verranno ampliati i casi in cui lo stalking sarà procedibile d’ufficio: basterà a tranquillizzare che è preoccupato per la possibilità di estinguere il reato con condotte riparatorie?
Credo che sullo stalking sia stato sollevato un falso problema. Già oggi il reato prevede la perseguibilità d’ufficio in numerose circostanze, per esempio quando il molestatore non si attenga a un precedente ammonimento del questore. Restano solo i casi di mere molestie, in cui comunque la vittima può essere sentita e un giudice deve valutare la congruità della proposta riparativa. Anche questo mi pare un caso in cui il tema è stato affrontato senza il necessario approfondimento, con una certa ansia indotta dal gioco di specchi mediatico.
La magistratura resta perplessa: forse perché si teme che sui giudici possa ricadere una responsabilità eccessiva?
Non trovo plausibile un simile ragionamento, abbia pazienza. Intanto i giudici si assumono grandi responsabilità ogni giorno, quando decidono su misure cautelari e, per esempio, optano per l’archiviazione o per il rinvio a giudizio. E comunque il delicato settore che va dallo stalking alle violenze sessuali e che riguarda le vittime vulnerabili richiede senza dubbio che si punti sulla specializzazione dei magistrati e di tutti gli operatori che se ne occupano, esattamente come avviene per altri settori della giustizia penale e civile.
Senta, ma quanto è diventato difficile occuparsi di giustizia in Parlamento, per giunta da presidente di commissione?
È un tema divisivo, non c’è dubbio, anche per come si è svolto il dibattito negli anni scorsi. Serve lavoro, passione, ascolto. A volte si viene accusati di cercare mediazioni al ribasso, ma si riesce ad approvare una legge solo se si arriva alla convergenza tra le forze di maggioranza. E credo che con la ricerca di punti di condivisione ragionevoli, siamo riusciti a fare parecchi passi avanti.