Siamo alla diagnosi clinica. O almeno criminologica. Quando parla di classe dirigente Piercamillo Davigo non è solito ricorrere a perifrasi, ma ieri ha spostato l’asticella ancora più su e, a proposito dei «problemi di legalità» dell’Italia ha parlato di «devianza» della classe dirigente. Lo ha fatto a una tavola rotonda dal titolo “Italia, quale legalità? ”, organizzata a Milano dalla Fondazione Cirgis. Davigo fa partire il proprio ragionamento da un dato acquisito: «Questo Paese ha problemi di legalità» che andrebbero affrontati con una seria «battaglia culturale». Poi piazza l’ennesima bordata: dobbiamo fare i conti con una «anomalia tutta italiana: la devianza della classe dirigente che fa guasti gravissimi», appunto. All’estero non è che manchino questi «episodi di devianza» ma negli altri Paesi «i colpevoli si dimettono». E giù con la citazione di quello che è ormai un caso di scuola, ossia «l’importante ministro che aveva copiato un pezzo della tesi di dottorato e si è dovuto dimettere». In Italia le cose non vanno così, da noi «la devianza fa danni grandissimi». Nel caso dell’Italia infatti il paradigma è piuttosto quello del processo Parmalat, con le sue 45mila vittime in attesa di risarcimento. «Sono numeri da stadio», fa notare il leader dell’Anm, che poi si chiede: «Quanto ci impiega uno scippatore per fare 45 mila vittime? Una vita. Quanto può avere una persona nella borsetta? Al massimo la pensione». E invece la classe dirigente deviante «non solo fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato rispetto a un delinquente da strada, ma fa anche danni molto più grandi». Da qui Davigo si aggancia al tema dello scarto tra sicurezza reale sicurezza percepita: «Gli italiani sono convinti di vivere in un Paese insicuro», dice, eppure «abbiamo meno omicidi di Francia e Germania». Si tratta dunque di una «sicurezza indotta», chi nei sondaggi si mostra allarmato in realtà «non ha mai visto un reato: pensa di vivere in un Paese insicuro perché lo dice la tv».Anche per questo il leader del sindacato dei giudici si schiera in modo non scontato sulla questione della legittima difesa, a cui non ci si può appellare, spiega, se si spara «a una persona in fuga». Il suo è un no piuttosto chiaro alle ipotesi di «allargamento della legittima difesa» avanzate anche attraverso proposte di legge d’iniziativa popolare. «L’aggressione non c’è più se uno fugge: se fossero approvate quelle modifiche l’Italia sarebbe condannata» a livello europeo. Secondo il presidente dell’Anm «sarebbe meglio che la nostra protezione venisse lasciata alle forze dell’ordine che sanno come usare le armi».