Non siamo ai numeri degli scorsi anni, quando avevamo raggiunto un sovraffollamento di quasi 10 mila detenuti in più oltre la capienza regolamentare. Ma i numeri cominciano a salire, risultano comunque alti e rimane il problema di un sovraffollamento penitenziario a macchia di leopardo. Diverse le carceri che hanno raggiunto il 127percento.

Resta il fatto che il ministero della Giustizia ha aggiornato i dati. Al 30 aprile risultano 56.674 detenuti rispetto a una capienza regolamentare di 51.249 posti. Ciò vuol dire che sono 5.359 i ristretti in più. Ovviamente i numeri sono molto più alti, visto che il dato sulla capienza non tiene conto delle celle inagibili.

Il sovraffollamento quindi è destinato ad aumentare nonostante che nel periodo dell’emergenza Covid, grazie a diverse misure adottate, si sia leggermente ridimensionato. Prima tra tutti il discorso dei circa 700 detenuti in semilibertà. È stato adottato un provvedimento, durato due anni e mezzo, e poi non più prorogato dall’attuale governo, che ha evitato che rientrassero la notte in carcere. Era una licenza straordinaria e i semiliberi avevano dimostrato di meritare la scommessa fatta dai giudici di sorveglianza e dalle aree educative delle carceri sulla loro capacità di avviare un percorso di reinserimento nella vita sociale. Ma sono stati “premiati” facendoli rientrare in carcere.

Il sovraffollamento è, di fatto, una emergenza perenne. Ma di fronte ad essa, la politica, vecchia e nuova, risponde puntualmente con la costruzione di nuove carceri che finiscono per non bastare mai, oppure viene riesumata l’idea di convertire le caserme dismesse in nuove carceri. Questione vecchia, proposta già dal precedente ministro grillino Alfonso Bonafede. Ma tali edifici rispondono alle logiche del carcere moderno che deve avere strutture architettoniche adeguate al nuovo concetto della pena? La risposta è ovviamente negativa. Ma non solo.

Come già segnalato da Il Dubbio, abbiamo l’esempio concreto a San Vito al Tagliamento, nel Friuli, dove al posto della caserma sarebbe dovuto nascere un nuovo carcere. Ricordiamo che la caserma è stata individuata nel 2013. L’iter iniziale è stato lunghissimo, con non pochi intoppi, tanto da ricorrere alla Corte dei Conti che poi dette il via. Ma la caserma, ovviamente, non risponde ai canoni moderni del carcere, per questo deve essere abbattuta per rifare da zero il nuovo penitenziario. È stata recuperata solamente la palazzina già sede del Comando del Battaglione Piccinini e ospiterà la parte amministrativa della nuova struttura. I lavori sono iniziati ufficialmente nel maggio del 2018, però il bando è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Europea nel 2013. Il costo era di circa 25 milioni di euro già stanziati dai precedenti ministeri. Finisce qui? No. I lavori non sono più partiti grazie per il ricorso sull’aggiudicazione dell’appalto. Ad agosto 2021 è stato indetto un nuovo bando che ha innalzato inevitabilmente i costi a quasi 40 milioni di euro. La travagliata storia ha finalmente un lieto fine? La procedura viene sospesa. Arriviamo a gennaio di quest’anno e finalmente, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, viene stabilito che sarà l'azienda emiliana Pizzarotti a realizzare l'opera, per un importo di 30 milioni di euro, comprensivi di indennizzo. Se tutto va bene l’opera potrebbe concludersi nel 2026. Ricordiamo che il primo bando è del 2013.

La strada, invece, ritenuta valida da tutti gli organismi internazionali, a partire dal consiglio di Europa che vigila sulla tortura, è quella dell’aumento delle misure alternative, considerando il carcere come estremo rimedio. La grande sfida dovrebbe essere quella che punti a chiudere diverse carceri come è avvenuto in Svezia, non a costruirne di nuove. Eppure, a medio termine, ci sarebbero misure da attuare. Ricordiamo la proposta di legge, rimasta inevasa, a firma del deputato Roberto Giachetti di Italia Viva in materia di liberazione anticipata pari a 75 giorni per ogni semestre di pena. Proposta di legge auspicata da Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, tanto da aver fatto un lungo sciopero della fame con il sostegno di varie personalità e anche diversi detenuti, a partire dalle donne recluso del carcere di Torino.

Mercoledì scorso, durante la visita al carcere romano di Regina Coeli, uno dei più colpiti dal sovraffollamento, il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, ha posto l'accento sul fatto che il Lazio è la seconda regione in Italia per tasso di detenuti nelle case circondariali. La percentuale è del 127 per cento, il 12 per cento in più rispetto alla media nazionale di 115. «Un problema di proporzioni drammatiche», ha affermato. «Era doveroso - ha detto sempre Rocca - da Presidente della Regione Lazio visitare Regina Coeli» visti i numeri eloquenti della struttura: su 628 posti ufficialmente disponibili, i detenuti attualmente reclusi sono 1009. «Non stupisce - ha aggiunto il governatore - che il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura abbia mosso critiche molto dure sulle condizioni di sovraffollamento della storica struttura romana». I problemi sono anche sanitari: ogni anno si erogano 80 mila prestazioni in condizioni che Rocca definisce “disperate”: su 23 posti letto, due sale operatorie sono chiuse e nel dipartimento di salute mentale è presente uno psicologo senza un medico psichiatra di riferimento. «Come amministrazione regionale ha concluso Rocca - dovremo lavorare di più e meglio, anche di concerto con il ministero della Giustizia, per incentivare misure alternative al carcere». Sempre secondo gli ultimi aggiornamenti, al 30 aprile risultano ancora 22 bambini in carcere o comunque nelle strutture Icam, che hanno sempre caratteristiche “contenitive”.

E rimane infatti il problema della mancata approvazione della proposta di legge della deputata del Pd Debora Serracchiani, la quale ha ripreso quella di Paolo Siani della scorsa legislatura. Proposta ritirata a causa dei parlamentari della maggioranza di governo, i quali in commissione giustizia hanno voluto introdurre emendamenti che, di fatto, avrebbero snaturato e peggiorato la legge. Invece di dare un contributo a come lasciare definitivamente alle spalle lo scandalo dei bambini che crescono in carcere insieme alle madri, nonostante siano condannate perlopiù per reati minori, il sottosegretario Cirielli ha rilanciato la sua iniziativa legislativa ( della precedente legislatura) per togliere la responsabilità genitoriale alle donne condannate in via definitiva.

Il 13 maggio prossimo, il giorno prima della festa della mamma, nel municipio di Torino partirà la campagna “Madri Fuori”. Una rete composta dalla Società della Ragione, Antigone, la Garante locale Monica Gallo e la Conferenza Nazionale del Volontariato, che punta a invitare parlamentari, consiglieri, garanti delle persone private della libertà, a visitare le donne detenute in occasione della Festa della Mamma, a discutere con loro della “doppia” e ingiusta pena, a dare concreta testimonianza del rifiuto dello stigma che le colpisce.