Il «silenzio». Un valore per i magistrati. Lo evoca Pietro Curzio nei due momenti forse più vibranti dell’intera inaugurazione di ieri. C’è prima un gesto: il presidente della Suprema corte indica la lapide che onora i giudici vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, e dice «è grazie a quelle persone il cui nome è scolpito nella pietra se oggi si riesce a individuare gli autori degli omicidi in oltre il 70 per cento dei casi, mentre nel 1992 si era fermi al 40». Il più drammatico esempio di eroismo silenzioso della magistratura. Poi c’è la frase finale, splendida, «la capacità di lavorare in silenzio è la via maestra per superare il periodo difficile che la magistratura vive», con una citazione che nobilita l’intera cerimonia di piazza Cavour: «Voltaire scriveva che “l’onore dei giudici consiste nel riparare i propri errori”». Così si chiude, anche nella versione scritta, il discorso inaugurale del primo presidente. Solo a braccio, Curzio aggiunge un’altra straordinaria suggestione: «Lo scrisse Voltaire, ce lo ha ricordato Leonardo Sciascia». In un’ammissione di umanissimo limite, nell’umiltà silenziosa rivolta al riscatto, c’è la migliore lezione che la magistratura italiana potesse offrire a se stessa e all’intero mondo della giustizia, nel giorno più delicato del suo lungo affanno. Pietro Curzio evoca il silenzio dell’abnegazione come risposta ai problemi: vale sia per la crisi in cui l’ordine giudiziario è precipitato per i cosiddetti scandali, sia per i segnali anche positivi che si ricominciano a scorgere, per esempio in termini di più spedita definizione delle cause. Vale però, Curzio non lo dice né intende dirlo, per l’autore stesso della relazione introduttiva, cioè lui, il primo presidente, che non si sofferma mai, e fa bene, sul rischio, scampato per un soffio, di non potersi nemmeno presentare nell’aula magna della Cassazione, dopo la sentenza con cui il Consiglio di Stato aveva annullato la sua nomina e quella di Margherita Cassano. Il vertice della Suprema Corte non ne parla, né certo ricorda la rielezione votata appena due giorni fa dal Csm. Con il silenzio su quel corto circuito, Curzio dà un esempio personale di buon magistrato che sa risollevarsi dalle difficoltà.

Cartabia: ora ricostruire

Lavorare nella «leale collaborazione» con gli altri, e innanzitutto con «gli avvocati» che l’hanno sempre offerta, è essenziale. È un altro segno di umiltà e di spirito di servizio attestato da Curzio. Spirito che accompagna e ispira anche l’intervento di Marta Cartabia, ministra della Giustizia. Lei è una presidente emerita della Consulta, e ricorda che l’idea di giustizia come «servizio» ricorre «all’articolo 110 della Costituzione». Se Curzio, da magistrato, rivolge lo sguardo alla capacità di risollevarsi dagli inciampi, la guardasigilli si dice invece convinta che «sarà il miglioramento dei servizi relativi alla giustizia a favorire l’inizio di una nuova stagione di fiducia dei cittadini nelle istituzioni». È una visione animata da uno slancio vitalistico, affidata alle riforme approvate nel 2021, «tutt’altro che agevoli, anzi a tratti scomode e impopolari ma urgenti e indifferibili». Idea con cui la ministra della Giustizi ha risposto in questi mesi anche alle voci critiche, per esempio sulla riforma del civile, che in alcuni punti ha lasciato perplessa innanzitutto l’avvocatura. Ma l’altro punto di forza a cui pure Cartabia è convinta di poter affidare la rinascita è la «collaborazione istituzionale». Riguarda «i magistrati e la loro autonomia» ma anche la classe forense. Non a caso, all’inizio del proprio intervento la guardasigilli ringrazia, per aver «garantito la continuità di un servizio così essenziale in un tempo cosi difficile» ogni singolo operatore del sistema giudiziario, a cominciare da «ogni singolo avvocato». Nel dirlo rivolge per un istante lo sguardo verso Maria Masi, appena eletta presidente del Cnf, prima donna nella storia dell’istituzione forense. Segno che Cartabia ha un senso della condivisone tipica degli uomini, e delle donne, di Stato.

Dai dati al carcere

Certo, il discorso sulla «progressiva e pericolosa erosione di fiducia da parte dei cittadini», a cui rimediare uniti, è decisivo. Secondo la titolare della Giustizia, quella perdita deriva da «mali» come «la durata eccessiva dei processi e l’arretrato», oltre a quelli che lei evoca come «i gravi fatti emersi negli ultimi anni» . E qui però è Curzio che tiene a rilevare anche i dati incoraggianti. Relativi anche, ma non solo, alle pendenze: nel civile sono diminuite del 6,5%, «grazie al maggior numero di definizioni rispetto alle nuove iscrizioni». Vuol dire passare da 3 milioni e 320mila a 3 milioni e 106mila fascicoli civili ancora da concludere. Nel penale il riscontro positivo, legato più alla «diminuzione delle nuove iscrizioni», è del 3,8%. I processi in tutto sono 2 milioni e 540mila. Ancora tantissimi. Non a caso Curzio fin dall’inizio parla di «quadro in chiaroscuro». Però c’è il già ricordato minor numero di omicidi senza autore. Il primo presidente si sofferma sul dato che definisce «sconcertante» dell’incidenza, fra le vittime dei 295 omicidi, di ben 118 donne, di cui «102 uccise in ambito familiare, 70 dal partner o dall’ex». Dimostra, Curzio, di essere uomo di cultura profonda quando spiega la tragedia della violenza di genere con la «tensione irrisolta per un’uguaglianza non ancora metabolizzata». Non manca di risvegliare i colleghi dalle responsabilità rispetto «all’uso delle risorse del Pnrr». E a proposito della «difficoltà di coprire tutti i posti banditi nei concorsi in magistratura», ricorda che evidentemente «molti corsi universitari non riescono a fornire le basi adeguate». Non manca neppure di ricordare il primato della sua Corte, «40.776 cause civili definite a fronte di 31.544 ricorsi: mai la Cassazione civile, nei suoi cento anni di storia, aveva deciso un numero di cause così elevato». Certo, ha un eccesso di catastrofismo quando ipotizza una «modifica costituzionale» per eliminare «la possibilità di ricorrere in Cassazione indistintamente contro tutte le sentenze». Ma è tra le pochissime giocate difensive dell’intervento. Come Cartabia, Curzio ringrazia Mattarella, onorato che «la Cassazione sia il luogo in cui si compie l’ultimo atto pubblico di un settennato fra i più autorevoli della storia». La guardasigilli ricorda che il Capo dello Stato ha definito «ineludibile» la riforma del Csm, «la prima che ci attende». In realtà la ministra assicura: «Conto di poter dare un impulso anche all’innovazione del sistema penitenziario, per rispondere alle tante emergenze che affliggono le carceri italiane». Farlo sarebbe sì una luce in fondo a tunnel della giustizia.