“In questa vicenda si è giocata una partita truccata, con carte segnate. Una partita giocata sulle è spalle di una famiglia: qui c'è in gioco la credibilità di un intero sistema'. Lo ha detto ieri il pm Giovanni Musarò, in apertura di udienza del processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, che vede imputati cinque carabinieri. Seconda l'accusa l'attività di depistaggio sulla morte del giovane geometra sarebbe iniziata il 26 ottobre del 2009 dopo un lancio dell'agenzia Ansa in cui Patrizio Gonnella e Luigi Manconi denunciarono che Cucchi al momento dell'arresto stava bene e che non aveva segni sul volto, visti invece poi dal padre il giorno dopo nel processo per direttissima.

“A partire dal 26 ottobre del 2009 - ha precisato il pm - iniziano a pullulare richieste di annotazioni su ordine della scala gerarchica dell'Arma, comprese quelle false e quelle dettate. Il lancio di agenzia delle 15.38 scatena un putiferio. Dal Comando generale dell'Arma partono richieste urgentissime di chiarimenti. E tutte queste annotazioni non servivano al pm ma all'allora ministro della Giustizia Angelino Alfano che avrebbe dovuto rispondere al question time alla Camera il 3 novembre'. Di conseguenza ' il ministro, per paradosso, si limitò a riferire il falso su atti falsi''. Insomma, secondo l'accusa, fu inconsapevolmente indotto con atti falsi a riferire il falso. Inoltre, il ministro Alfano disse, sulla base di quelle informative pervenutegli dalla Difesa seguendo la scala gerarchica dell'Arma, ' che Cucchi era stato collaborativo al momento dell'arresto, omettendo ogni passaggio presso la compagnia Casilina e che era già in condizioni fisiche debilitate quando venne fermato dai carabinieri. Da qui - ha sottolineato il pm - cominciò una difesa a spada tratta dell'Arma che si tradusse in una implicita accusa nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che avevano preso Cucchi in custodia per il processo''. A tal proposito è Nicola Minichini, uno dei tre agenti della penitenziaria accusati inizialmente del pestaggio di Cucchi, assolti nei tre gradi di giudizio e poi ora parti offese nel processo- bis in corte d'assise a sfogarsi: ' Io mi sono trovato da innocente in una cupola, in una rete senza via di uscita che è stata architettata nei nostri confronti. Io non riesco ancora a capire come sia stato possibile'. E di questa rete di depistaggio farebbero parte anche le falsificazioni degli esami medico legali: secondo il pm, nelle note dell'Arma, l'anemia e l'epilessia dichiarate dal povero geometra diventarono anoressia. Inoltre “due dati devono essere registrati con inquietudine: tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre, negli atti ufficiali interni all'Arma erano già scritte le conclusioni che arriveranno solo sei mesi dopo. I consulenti ancora non sono stati nominati. Inoltre, ci sono una serie di circostanze false. Tra cui quella in cui Stefano Cucchi dice di essere anoressico. Non è vero, non lo ha mai detto. Il comandante provinciale del 2016 dice che Cucchi ha avuto un attacco di epilessia in caserma. Non è vero. Tutto ciò - aggiunge il magistrato era stato scritto non solo quando i consulenti erano ben lontani dal concludere il loro lavoro ma quando la procura doveva ancora nominarli. Ciò lascia sconcertati”. Tutto in regola invece per il generale Vittorio Tomasone, all'epoca dei fatti comandante provinciale di Roma dei Carabinieri per cui, come riferito ieri in qualità di testimone, quello di Cucchi ' fu un arresto normale'. La sua versione dei fatti è stata caratterizzata da tante ammissione di ' non ricordo' e ' non ho memoria dei fatti' che hanno suscitato l’ irritazione del pm Giovanni Musarò.