Ora è ufficiale, mentre il numero dei contagi in carcere è in continuo aumento tra detenuti e agenti penitenziari (rispettivamente secondo l’ultimo aggiornamento Dap 215 reclusi e 232 agenti), sono solo due i provvedimenti licenziati dal Consiglio dei ministri per quanto riguarda il discorso deflattivo. Uno è nell’articolo 29 del Decreto Ristori e riguarda la durata straordinaria del permesso premio. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 ai condannati cui siano stati già concessi i permessi e che siano stati già assegnati al lavoro all’esterno o ammessi all’istruzione o alla formazione professionale all’esterno, i permessi premio, quando ne ricorrono i presupposti, possono essere concessi anche in deroga ai limiti temporali. La disposizione però non vale ai condannati che rientrano nei cosiddetti reati ostativi dell’articolo 4 bis. L’altro provvedimento, dettato dall’articolo 30 del decreto legge Ristori, riguarda la disposizione in materia di detenzione domiciliare. In sostanza viene ripristinato il provvedimento adottato già nella prima ondata della pandemia e, anche in questo caso, scade il 31 dicembre prossimo. E i senza fissa dimora? Esclusi La pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l'abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, salvo che riguardi sempre i reati ostativi. Ma sono esclusi anche i detenuti raggiunti da un provvedimento disciplinare o che siano privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. Quest’ultimo punto è dolente. C’è un numero consistente di detenuti che sono, appunto, privi di domicilio. Questa situazione è legata al loro stato di povertà o, se pensiamo ai detenuti stranieri, di privazione del permesso di soggiorno. La riforma originaria, disattesa dal governo giallo- verde (ma non ripresa nemmeno dall’attuale), prevedeva anche l’implementazione delle strutture per ospitare i detenuti privi di dimora. Che fine hanno fatto i 1000 braccialetti al mese fino a tutto il 2021? La concessione di questa misura varata dal governo, però, - salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non sia superiore a sei mesi – è subordinata all’applicazione dei braccialetti elettronici. Punto dolente. Il Dubbio sette mesi fa ha sottolineato la mancata trasparenza sul numero effettivo dei braccialetti emessi, ricordando che era stato vinto un bando da parecchi milioni di euro che preveda la produzione di più di 1000 dispositivi al mese e per ben tre anni, con scadenza il 31 dicembre del 2021. Che fine abbiano fatto o del perché non siano stati attivati, non è ancora chiaro. Ora, nel decreto Ristori leggiamo, che «con provvedimento del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, d'intesa con il capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, adottato entro il termine di dieci giorni dall'entrata in vigore del presente decreto e periodicamente aggiornato è individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, che possono essere utilizzati per l'esecuzione della pena». Da sottolineare il passaggio «nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente». Ma non erano già stati stanziati i soldi nel passato? Ci sono quelli del bando con oltre 19 milioni di euro, e durante la prima ondata era stata avviata un’interlocuzione tra il ministro della Giustizia, il Commissario straordinario Arcuri, e il ministero dell’Interno per garantire l’accelerazione delle installazioni dei dispositivi destinati soprattutto alla detenzione domiciliare di quanti dovevano scontare una pena residua tra i 7 e 18 mesi. Ma cosa prevedeva questo accordo non è dato sapere. L'interrogazione di Roberto Giachetti Eppure, proprio grazie un articolo de Il Dubbio sul tema, il 21 marzo scorso il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti – su sollecitazione del Partito Radicale, in particolar modo Rita Bernardini che ha più volte posto domande sulla questione - ha chiesto dei chiarimenti con una interrogazione parlamentare rivolta al guardasigilli. Il deputato è entrato nel cuore del problema. L’Amministrazione dell’Interno, nel dicembre 2016, ha avviato una procedura ad evidenza pubblica per la fornitura di braccialetti elettronici conclusasi nell’agosto del 2018 con l’aggiudicazione definitiva dell’appalto a Rti Fastweb: il servizio prevede, per un periodo minimo di 27 mesi, la fornitura di 1000- 1200 braccialetti mensili per l’intera durata triennale fino al 31 dicembre del 2021. «Secondo quanto riportato da un articolo de Il Dubbio pubblicato il 18 marzo 2020 – ha chiesto a marzo Giachetti– , dalla relazione tecnica allegata al decreto “Cura Italia” emerge che al momento e fino al 15 maggio siano disponibili solo 2600 braccialetti, sebbene il contratto con Fastweb ( che decorre dal 31 dicembre 2018) preveda la fornitura di 1000- 1200 braccialetti mensili per un totale di 15 mila braccialetti che invece in teoria sarebbero dovuti essere già disponibili alla data odierna». A quanto risulta non c’è stata nessuna riposta. Non è stato chiarito un quesito semplice, mentre il problema di ripropone. Il bando è stato aggiudicato, i soldi già stanziati, quindi dal 2018 fino al 31 dicembre del 2021 non avremmo dovuto avere alcun problema con l’emissione dei braccialetti. Cosa è accaduto? Perché nel decreto Ristori si fa riferimento ai limiti delle risorse disponibili, quando già è stato aggiudicato un bando da milioni di euro?