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Angelo Burzi
Non si è lasciata attendere la reazione del responsabile giustizia di Azione, l'onorevole Enrico Costa, all'intervista pubblicata oggi sul Dubbio al Segretario di Magistratura Democratica Stefano Musolino. In essa il magistrato ha spiegato la sua contrarietà a due emendamenti del parlamentare alla riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario. Stamattina Costa in assemblea ha così criticato più il metodo che il merito delle risposte. Vi riportiamo parti tratte dal resoconto: «Dice (riferito al dottor Musolino, ndr) anche: sembra proprio che la politica non conosca il nostro lavoro e non comprenda le nostre dinamiche interne, finendo con il partorire riforme che, invece di far progredire la magistratura, la riportano indietro di 50 anni. Dice anche: forse l'onorevole Costa non sa che, già oggi, uno degli elementi delle valutazioni di professionalità è proprio la verifica di un apprezzabile numero di riforme delle richieste o dei provvedimenti. Le valutazioni di professionalità, contrariamente alla vulgata diffusa ad arte, non sono fatte per premiare alcuno». Per il vice segretario di Azione sarebbe «evidente che queste affermazioni di un magistrato in carica, il segretario di una corrente, da un lato, ovviamente evidenziano il fastidio per certe proposte, e questo posso anche capirlo, ma trovarle stampate sui giornali, durante l'iter procedimentale del lavoro in Commissione, ritengo che sia un modo, una modalità per condizionare - non voglio arrivare ad usare il termine intimidire - un organo costituzionale che deve svolgere il suo lavoro e l'attività legislativa. Penso che il Presidente della Camera debba essere informato di questo, che il Ministro della Giustizia debba essere informato di questo, e forse mi aspetterei anche qualche parola per svolgere con serenità il compito che sto svolgendo, perché, se questo percorso si fosse effettuato a parti invertite, il Consiglio superiore della magistratura avrebbe subito aperto una pratica a tutela». Insomma questo è l'ennesimo episodio che dimostra che in questi giorni non c'è un clima sereno tra gli attori protagonisti della riforma: politici, magistrati, avvocati. Non sarebbe il caso di auspicare un confronto più sereno? Molto spesso parlarsi tramite dichiarazioni alla stampa o in contesti in cui manca fisicamente l'interlocutore non facilita la sintesi e il raggiungimento di un obiettivo che dovrebbe essere comune: valorizzare la magistratura sana. Quale metodo adottare senza abdicare alle proprie legittime convinzioni?