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41 bis
Com’è noto, con la sentenza 18/2022, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quella parte del 41 bis in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori. Ora, affinché l’avvocato richieda la riservatezza, oltre ad esplicitare tale intenzione, dovrà certificare la propria identità facendo apporre un visto dal Consiglio dell'Ordine di appartenenza. Ed è qui che entra in campo il Garante nazionale delle persone private della libertà, pubblicando una scheda tecnica dove rivela che, a causa del carico di impegni, non sempre gli ordini professionali riescono ad attivarsi in tempo. Ma una soluzione c’è. Il Garante, riferendosi alla sentenza della Corte costituzionale, osserva che si tratta di una conclusione, quella dell’inclusione dei difensori tra i soggetti per i quali è stabilita la riservatezza della corrispondenza epistolare o telegrafica anche quando intercorre con persone, detenute o internate, sottoposte al regime del 41 bis, già affermata in numerose recenti pronunce della Corte di Cassazione – a condizione che siano rispettate le regole che assicurano la riconoscibilità del difensore nel mittente o nel destinatario – e nella Circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria n.3676/6126 del 2 ottobre 2017, in materia di «Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art.41-bis O.P», che, al punto 18.1, penultimo comma, ha sostanzialmente esteso a tale circuito la disciplina ordinaria prevista dall’articolo 18-ter dell’ordinamento penitenziario. La portata innovativa della sentenza della Corte consiste, quindi, nel fissare nella cornice normativa di rango primario i princìpi e le disposizioni, anche operative, delineati sia nella propria giurisprudenza, sia in quella della Cassazione, sia, infine, nel disposto amministrativo del Dap. Sempre nella scheda tecnica, il Garante ricorda che la sentenza si fonda su presupposti di diritto dettati dalla Costituzione, dalle norme sovranazionali della Cedu, dalle Regole penitenziarie europee (Raccomandazione R(2006)2-rev del Consiglio d’Europa), dalle “United nations standard minimum rules for the treatment of prisoners” (le cosiddette “Mandela Rules”), che hanno composto nel tempo il tessuto delle pronunce della stessa Corte costituzionale sui punti rilevanti che interessano la questione su cui si è pronunciata. Come rivela il Garante, in particolare, la Corte ha ribadito la natura di «principio supremo» dell’ordinamento costituzionale della garanzia costituzionale del diritto di difesa, cui è necessariamente funzionale il diritto alla comunicazione con il difensore; la natura del regime speciale del 41 bis che «mira non già ad assicurare un surplus di punizione per gli autori di reati di speciale gravità, bensì esclusivamente a contenere la persistente pericolosità di singoli detenuti», con particolare riguardo alla prevenzione del mantenimento di contatti con le organizzazioni criminali; la legittimità costituzionale delle limitazioni dei diritti fondamentali connesse a tale regime soltanto se funzionali alla sua finalità preventiva e non sproporzionate, eccessive, rispetto a tale scopo. Da tale quadro di riferimento è quindi conseguita l’affermazione che l’esclusione dei difensori dalle categorie di soggetti cui è assicurata la riservatezza della corrispondenza è una misura non soltanto inidonea a perseguire la finalità propria delle limitazioni del regime speciale (considerata la riservatezza dei colloqui visivi), ma anche e soprattutto eccessiva rispetto allo scopo perseguito dal sistema dell’articolo 41-bis «dal momento che sottopone a controllo preventivo tutte le comunicazioni del detenuto con il proprio difensore», determinando il pregiudizio del diritto di difesa. Ora veniamo alle conseguenze operative. L’esclusione della corrispondenza intrattenuta con i difensori al visto di censura previsto dall’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera e) dell’ordinamento penitenziario determina l’applicazione della disciplina ordinaria in materia di corrispondenza prevista dal comma 2 dell’articolo 18- ter o.p., con riferimento ai soggetti indicati al comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale che riguarda, in primo luogo, i difensori. Nella scheda tecnica, il Garante sottolinea che il rinvio alla norma processuale comporta necessariamente l’applicazione e il rispetto della relativa norma di attuazione, l’articolo 35 del Decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, che stabilisce le regole che assicurano la riconoscibilità della corrispondenza con il difensore e la sua funzionalità a “ragioni di giustizia”. Pertanto, se si tratta di posta in uscita, destinata al difensore, l’esclusione del visto di controllo o di censura è condizionato al fatto che il mittente indichi la qualifica professionale del difensore e che questo risulti nominato per il procedimento penale di cui si deve dare indicazione sulla busta, insieme con la formula “corrispondenza per ragioni di giustizia”, sottoscritta dal mittente. Se si tratta di corrispondenza inviata dal difensore al proprio assistito, la sottoscrizione di tale formula deve essere autenticata dal presidente del Consiglio dell’Ordine di appartenenza o da un suo delegato. Ed ecco che nasce il problema: in mancanza di questa autenticazione, che garantisce l’identificazione del difensore, la corrispondenza che pure riporti nel mittente il nominativo dell’avvocato, non può ritenersi esente dal visto di controllo e dalle ordinarie limitazioni previste dall’articolo 18-ter o.p. Il Garante nazionale rileva che la ricaduta concreta della pronuncia della Corte costituzionale ha attualmente prodotto negli uffici di controllo della corrispondenza dei diversi Istituti due ordini di comportamento: il primo consiste nella restituzione al mittente del plico non dotato della necessaria autenticazione; il secondo nell’apertura della corrispondenza per l’esecuzione del controllo e l’eventuale visto. «La restituzione al mittente – osserva il Garante nazionale - ha certamente il pregio di preservare l’integrità del principio della riservatezza della corrispondenza tra difensore e persona assistita ma determina – e sta determinando – importanti ostacoli al flusso delle comunicazioni, la cui tempestività è requisito essenziale, determinati dai tempi della spedizione». Per altro verso, l’apertura della corrispondenza che, comunque, appare proveniente da un difensore, rischia di determinare la violazione dell’intrinseca riservatezza delle comunicazioni tra l’avvocato e il suo assistito che hanno sempre – e non deve essere diversamente – un contenuto intimamente legato all’esercizio del diritto di difesa. «In un caso si salva il principio – sottolinea il Garante - ma si rischia di compromettere l’efficacia della comunicazione, nell’altro se ne assicura la tempestività (salvo l’esito negativo del controllo) ma si rischia di neutralizzare il principio». Peraltro, molto spesso – ed è questo uno dei punti cruciali - la mancanza di autenticazione della corrispondenza è da ricondurre proprio a esigenze di speditezza delle comunicazioni del difensore cui, per il carico d’impegni, gli ordini professionali non riescono sempre a corrispondere. Considerato il valore della questione affermata dalla Corte, Il Garante osserva che «la ricerca di una soluzione che consenta di preservare il principio e al tempo stesso assicurarne l’effettività è doverosa». La scheda tecnica offre alcune soluzioni: una risorsa in questa prospettiva potrebbe venire dagli strumenti della digitalizzazione, adottati oggi anche nel processo penale. In ogni caso, dovrà trattarsi di una soluzione condivisa tra avvocati, amministrazione penitenziaria e diversi operatori. In questo quadro il Garante nazionale assicura il proprio impegno a contribuire a fissare una disciplina omogenea, chiara e che tuteli anche concretamente lo strumento imprescindibile del diritto di difesa che è la riservatezza delle comunicazioni tra il difensore e il proprio assistito.