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Nessun allarmismo, ma la parola d’ordine è “prevenzione” per quanto riguarda il contenimento della diffusione del nuovo ceppo virale del coronavirus. I luoghi più sensibili sono quelli dove ci sono persone più vulnerabili e dove, soprattutto, c’è una concentrazione che renderebbe rapidissimo il contagio. Uno di quei luoghi sono le carceri italiane. Per questo è stata istituita dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria una unità di crisi presso la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento. Il Dap si è preparato nel prevenire il contagio dovuto alla diffusione del coronavirus in alcune località lombarde e, conformandosi alle indicazioni del ministero della Salute e d'intesa con il presidente della Regione Lombardia, ha inviato un ordine di servizio ai Provveditorati e a tutti gli istituti penitenziari italiani. Quindi, fino a nuove disposizioni, ha esonerato dal servizio tutti gli operatori penitenziari residenti o comunque dimoranti nei comuni di Codogno, Castiglione d'Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano. Analoga impossibilità di accedere agli istituti penitenziari anche per il personale esterno: gli insegnanti, i volontari e i familiari di detenuti che provengano dai suddetti comuni. Sospese, inoltre, con effetto immediato e fino a nuova disposizione, le traduzioni dei detenuti verso e dagli istituti penitenziari rientranti nella competenza dei Provveditorati di Torino, Milano, Padova, Bologna e Firenze.A Milano, in particolare, sono state varate delle direttive per i colloqui in carcere. Gli incontri dei parenti con i detenuti sono stati, al momento, ridotti a un parente, di età superiore a 12 anni, per ciascun recluso. Il colloquio avverrà con mascherina e previ accertamenti. Non mancano però le polemiche da parte dei sindacati della polizia penitenziaria che chiedono più strumenti per la prevenzione. Ad esempio c’è il Sinappe dell’Emilia Romagna che ha sollecitato più volte il provveditorato ad avviare un costante monitoraggio delle condizioni di salute di tutto il personale che opera negli istituti di Pena e dell’utenza detentiva, soprattutto presso quelle sedi penitenziarie geograficamente più esposte al rischio contagio. Nel carcere di Bologna il sindacalista e operatore penitenziario Nicola D’Amore del Sinappe ha appreso che in alcune delle unità operative dell’istituto mancano le mascherine, per questo ha chiesto subito una verifica per segnalare la carenza di dispositivi di protezione individuale e rimediare. Il carcere è un luogo dove – come confermato anche dal Dap attraverso le linee guida – l’assistenza sanitaria è carente e il sovraffollamento non aiuta. Un possibile contagio renderebbe più problematica la vita nei penitenziari: sia per i reclusi, che per gli operatori. C’è il cappellano del carcere nuovo complesso di Rebibbia, Mauro Leonardi, che ha espresso preoccupazione. «Cosa avviene – spiega il cappellano - al Nuovo Complesso, il carcere dove sono volontario, 1700 detenuti circa, quando arriva l'influenza? Che la prendono immediatamente tutti. Celle da sei con promiscuità assoluta, quasi completa assenza di farmaci, una piccola infermeria, un reparto "protetto” per poche unità al Pertini per i casi più gravi». Sottolinea che a Rebibbia è persino complicato misurarsi la febbre e se arrivasse il Coronavirus non ci sarebbe scampo «né per i detenuti, né per le guardie carcerarie, né per i volontari». Se dovesse arrivare nuovo virus, secondo il cappellano, si ammalerebbero tutti o quasi tutti i detenuti. «Non c'è alcuna possibilità di isolamento e di cura. Non si può evacuare un intero carcere per evidenti motivi: primo dei quali la necessità che per ogni detenuto ci siano parecchie guardie. E poi dove li porti? Si aprono scenari apocalittici», denuncia il cappellano nel blog personale dell’agenzia stampa Agi.