Dopo due anni e mezzo di navetta tra Camera e Senato, molte polemiche e altrettanto scontento da parte dei professionisti, il ddl Concorrenza è diventato legge. Il Senato ha approvato ieri con 146 sì e 113 no la legge che fissa nuove norme in materia di mercato e concorrenza. Accanto alla soddisfazione del ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, però, si fanno sempre più forti le preoccupazioni degli avvocati, in particolare per quanto riguarda i commi del ddl che riguardano le banche e le assicurazioni. Il tavolo tecnico di Cnf e Ocf aveva mosso critiche precise e circostanziate già durante l’iter di esame del ddl: pur sottolineando come il testo del ddl sia stato migliorato rispetto alla sua versione iniziale, è stato evidenziato ad ogni passaggio parlamentare come i diritti dei cittadini siano posti a rischio da alcune delle previsioni approvate. «La nostra non è una difesa antistorica e campanilistica della professione ma il doveroso mettere in guardia contro un disegno di legge che tradisce la sua stessa premessa e che, lungi dal garantire una maggior concorrenzialità nell’ambito della professione, rischia di prestare il fianco ad elusioni fiscali e previdenziali», hanno scritto in una nota congiunta il presidente del Cnf, Andrea Mascherin e il coordinatore di Ocf, Antonio Rosa. «È auspicabile un intervento del Presidente della Repubblica, affinché non promulghi la legge ed eserciti il proprio potere di rinvio alle Camere per una miglior ponderazione del testo».

BANCHE

Il testo approvato prevede la possibilità di esercizio della professione forense anche in forma societaria, con la possibilità di partecipazione di soci di capitale, ( soggetti terzi rispetto ai professionisti), ad esempio banche, nei limiti di «un terzo del capitale e diritto di voto», per i restanti due terzi, i soci possono essere avvocati o altri professionisti iscrit- ti in albi. Unici paletti: il divieto di partecipazione per tramite di fiduciarie, trust o per interposta persona e il vincolo della maggioranza dell’organo di gestione composto da soci avvocati. Il rischio denunciato dall’avvocatura - che aveva già introdotto nella propria legge professionale la possibilità di società di professionisti, ma senza soci di capitale - è che la presenza, seppur minoritaria, di soci di capitale in uno studio associato possa pregiudicare l’autonomia e l’indipendenza nell’esercizio della professione, tanto più se si considera che il ddl concorrenza non esclude che la società ( allargata a “finanziatori/ clienti”) possa svolgere la propria attività in favore di quegli stessi soci di capitale. In altre parole, il ddl permette di aggirare l’obbligo di terzietà dell’avvocato, il quale potrebbe dunque essere chiamato a dirimere controversie nell’interesse diretto di uno soggetto che partecipa nella sua stessa società professionale.

Il testo, inoltre, non esclude la partecipazione alle società di eventuali soci non professionisti che siano privi dei requisiti minimi di onorabilità. Con questo testo è possibile, dunque, che diventi socio un soggetto che abbia riportato condanne definitive per pene anche superiori a due anni di carcere, relative a reati non colposi.

Abnorme è anche il regime della responsabilità professionale: il socio di capitale, infatti, gode delle limitazioni patrimoniali in caso di risarcimento danni, mentre il socio avvocato è soggetto a responsabilità illimitata.

A titolo esemplificativo, a fronte di un socio che decide di assumere la difesa di un cliente, solo sull’avvocato ricadrà la responsabilità professionale piena derivante dal mandato ( rispetto alla quale non può essere invocata la limitazione patrimoniale). Il testo del ddl, inoltre, non inquadra fiscalmente i redditi delle società tra avvocati ( incertezza che presta il fianco, potenzialmente, ad abusi) nè affronta il profilo del trattamento previdenziale e dei rapporti con le casse pro- fessionali ma, soprattutto, non regola in alcun modo le eventuali crisi societarie.

ASSICURAZIONI

Lo squilibrio in favore delle assicurazioni riguarda le norme che disciplinano la comunicazione dei testimoni da parte del denunciante, in caso di sinistro. Da oggi in poi, infatti, chi denuncia è obbligato a indicare, già nel primo atto con cui comunica il sinistro alla compagnia, i nomi di tutti gli eventuali testimoni da far comparire in giudizio. Lo stesso vincolo, invece, non è previsto per le compagnie assicurative. A risultarne penalizzato, dunque, è l’il cittadino, a vantaggio invece delle compagne assicurative che dunque godono di una “agevolazione” procedurale che sbilancia ulteriormente in loro favore il rapporto con l’utente.