IL LAVORO RENDE LIBERI?

FOUNDER ECONOMIA CARCERARIA

Spesso, quando affronto l’argomento del lavoro in carcere, soprattutto nelle scuole o ai ragazzi che desiderano conoscere meglio l’attività che svolgo, appare importante definire cosa sia il lavoro.

Il primo elemento che contraddistingue l’attività lavorativa e che viene individuato rapidamente è la retribuzione; ed effettivamente un’occupazione che non viene regolarmente retribuita difficilmente può essere detta lavoro, si avvicina maggiormente al concetto di volontariato.

Eppure, la retribuzione non basta a definire e circostanziare il lavoro, anzi essa potrebbe sviare dal concetto del lavoro. Esistono molteplici attività, a volte illegali, che rendono del denaro ma che non possono sicuramente essere accostati al lavoro.

A questo punto del ragionamento arriva in soccorso la nostra Carta costituzionale e, per la precisione, il secondo comma dell’articolo 4. Il Costituente dichiara espressamente che il lavoro debba consistere in un’attività ( o una funzione) “che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Solamente attraverso questa chiave possiamo distinguere tra lavoro e attività non meglio definita che permette di guadagnare soldi.

A me piace poi andare oltre il messaggio costituzionale e insegnare che il lavoro debba essere inteso come servizio alla comunità. Letto l’articolo in tal senso, e adoperandosi affinché il proprio lavoro sia svolto veramente come servizio alla comunità, si escludono automaticamente le attività illecite che recano un danno anziché un vantaggio alla società.

Non solo, intendere il lavoro come un servizio e non solamente come fonte di arricchimento personale, permetterebbe una vera rivoluzione della società verso quei valori di solidarietà, mutualismo, centralità della persona a cui dovremmo tendere.

Un politico che lavori per il bene comune e non per il proprio tornaconto, un avvocato che abbia a cuore le sorti del proprio assistito oltre che del suo portafogli, un impiegato statale o privato che si dedichi a risolvere i problemi degli utenti con gentilezza eliminando le troppe e spesso lunghe pause caffè, un insegnante che trasmetta passione per la materia oltre al semplice giudizio sull’alunno avrebbero la capacità di migliorare radicalmente la vita sociale del nostro Paese.

Certo non per tutti i lavori è così lampante il progresso spirituale o materiale che viene addotto alla società e il passaggio da una concezione così astratta ad una maggiormente pratica si traduce nel pagamento delle tasse.

Attraverso le imposte sul lavoro e sul reddito, infatti, si concorre al “progresso materiale” richiamato in Costituzione.

Attraverso le tasse, lo Stato può assicurare e aumentare i servizi alla persona, costruire infrastrutture, garantire insegnamento, sicurezza e cure.

Spiegare questo ai ragazzi, e ancora di più a coloro che vivono in contesti dove esiste solamente il lavoro nero, è il primo passo per comprendere che viviamo in una comunità e anche il lavoro ha un valore sociale, oltre che personale, che non va mai dimenticato.