Le misure di prevenzione, sia quelle personali che patrimoniali, si applicano ai reati contro la Pubblica amministrazione se commessi in forma associativa. Tradotto: il sequestro preventivo di beni e misure cautelari personali sono possibili, per i reati di peculato, malversazione, corruzione propria, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, solo nel caso in cui agli indiziati sia contestata anche l’associazione per delinquere. L’emendamento al Codice antimafia, proposto in extremis nella giornata di ieri dai relatori Giuseppe Lumia e Giorgio Pagliari del Pd, è stato approvato dall’Aula di Palazzo Madama a voto palese con 147 voti favorevoli, in una giornata di feroce dibattito.

La modifica, infatti, è stata avanzata nel tentativo di me- diare sul testo di un Ddl che, nel corso del suo iter approvativo, è stato da più fronti considerato eccessivamente afflittivo. «Tutti i reati che fanno scattare quelle misure di prevenzione personale e patrimoniale indicate nel codice - ha spiegato in Aula il relatore Lumia - sono collegati da questo filo che è la caratteristica associativa». L’emendamento incontra anche l’auspicio del Procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, il quale nei giorni scorsi aveva avanzato dubbi sul Ddl, sostenendo appunto che «una sola iscrizione per un reato su un’ipotesi di corruzione potrebbe non essere sufficiente, a meno che questa non si inserisca in una trama associativa». Una mediazione, quella del Pd, che ha l’obiettivo di abbassare la tensione, ma senza cedere sull’elencazione dei reati prevista dal Ddl. Il voto degli 80 articoli del Codice prosegue anche nella giornata di oggi, al termine della quale il provvedimento dovrebbe venire approvato per poi tornare alla Camera.

Il Senato ha accolto il testo in un clima difficile, con Forza Italia accanitamente contro e con Francesco Nitto Palma che ha ostinatamente preso la parola ad ogni emendamento. «Parafrasando Falcone, questo Ddl fa sì che, se tutto è mafia, poi niente è mafia», ha attaccato il forzista ed ex magistrato Giacomo Caliendo. Particolarmente dibattuto è stato l’emendamento Sacconi, presentato dall’opposizione e respinto dall’Aula, che proponeva la sostituzione del termine “indagato” con “imputato”, «riportando il momento dell’azione all’interno della fase processuale, come dovrebbe essere in ogni stato che si definisce di diritto».

Forti critiche al Ddl sono arrivate anche dall’Unione Camere penali, intervenute con una nota del presidente Beniamino Migliucci e del segretario Francesco Petrelli: «La proposta della maggioranza di rafforzamento ed espansione delle misure di prevenzione e delle disposizioni sulla confisca allargata rappresenta un atto di arroganza politica senza precedenti», hanno affermato. «L’aspetto più allarmante - sottolineano i penalisti - risiede nel fatto che le modifiche proposte andrebbero a rafforzare un sottosistema già del tutto sfornito delle minime garanzie. Il bassissimo standard probatorio richiesto al fine dell’applicazione delle misure non viene controbilanciato dalla previsione di una sia pur minima struttura di garanzia». L’attività degli inquirenti «è del tutto priva della possibilità di controllo da parte di un giudice terzo, può essere esercitata senza rispetto di criteri di alcun genere ed addirittura senza limiti di durata». Altrettanto dura, però, è stata la replica del deputato Pd, Davide Mattiello, relatore del Ddl alla Camera. «I penalisti scrivono cose inaccettabili, false e depistanti: il procedimento attraverso cui si passa dal sequestro alla confisca definitiva nell’ambito della prevenzione patrimoniale è fortemente giurisdizionalizzato e la nostra riforma rafforza ulteriormente la posizione della difesa. Inoltre l’essere indiziati non è mai condizione sufficiente perché scatti il sequestro, che essendo di prevenzione prescinde dalla prova della responsabilità penale del soggetto».