«Le pec non le leggiamo, deve depositare istanza cartacea». La frase virgolettata è quella pronunciata da un cancelliere del giudice di pace di Tivoli all’avvocato Gabriel Frasca, che si è visto rigettare un ricorso con la motivazione che nessuna istanza di rinvio per legittimo impedimento era stata depositata e che nessuno si era presentato all’udienza. E ciò nonostante l’avvocato avesse inviato una pec per certificare l’impossibilità di presentarsi in udienza a causa dell’obbligo di quarantena cui era sottoposto.

L’episodio risale ad inizio gennaio e testimonia, ancora una volta, la lesione del diritto alla difesa in tempo di pandemia. «Per una riunione di lavoro, prima delle vacanze di Capodanno, sono stato a contatto con una persona positiva al Covid, quindi pur non avendo riscontrato sintomi, come è ovvio, sono stato in quarantena per le canoniche due settimane - racconta Frasca al Dubbio -. Il 12 gennaio avevo udienza davanti al giudice di Pace di Tivoli, così ho mandato una pec giorno 7 spiegando che per la data fissata sarei stato ancora in quarantena, chiedendo dunque il legittimo impedimento».

Una procedura semplice o almeno avrebbe dovuto esserlo, per una prima udienza fissata, oltre tutto, a distanza di due anni dal ricorso. Il giorno dopo l'udienza, l’avvocato riceve dunque un provvedimento firmato dal giudice di pace di Tivoli in cui viene spiegato che non essendosi presentato nessuno, e non essendo stata depositata alcuna istanza, il ricorso è stato dichiarato improcedibile. «Il fatto era, tecnicamente, di poco conto: una multa di circa 200 euro per eccesso di velocità. Ma comunque ha sempre valore per il cliente, senza contare le questioni di principio sottolinea Frasca -. Inviperito ho iniziato a chiamare in cancelleria, dove mi dicono mi spiegano che loro le Pec non le aprono e che avrei dovuto depositare l’istanza di persona. E ciò nonostante il Dpcm del 3 dicembre 2020 in tema di giustizia disponga che tutte le comunicazioni e le istanze debbano essere depositate in via telematica». L’avvocato rimane basito, soprattutto perché, stando a quanto riferito, quell’istanza avrebbe dovuto depositarla a mano, nonostante la quarantena. «Ritengo sia anche una questione di giustizia sostanziale - spiega arrabbiato -, per questo motivo ho mandato una comunicazione formale al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, una pec al Consiglio dell'ordine di Tivoli e una pec al presidente del Tribunale di Tivoli».

Ma non solo: Frasca prova a spiegare la questione al giudice di pace, inviando una mail sull’indirizzo di posta pubblicato sull’albo di appartenenza, ricevendo, come risposta, un rimprovero per aver utilizzato la mail personale per questioni relative al giudice di pace. «Noi avvocati dovremmo poter stare tranquilli quando usiamo gli strumenti che la giustizia ci mette a disposizione, dando per scontato che queste istanze vengano lavorate in maniera automatica, anche perché altrimenti ci troveremmo davanti alla necessità di dover violare la legge aggiunge -. Ma io non sono disposto a mettere a repentaglio la sicurezza delle persone che mi stanno vicino perché il giudice di pace non legge le Pec. È una pantomima».

Frasca dovrà ora fare appello, sostenendo personalmente le spese per il contributo unificato, «che ovviamente non posso addebitare al cliente».

Ma questa non è l’unica disavventura dell’avvocato. Perché nonostante la legge 77/ 2020 preveda che il giudice provveda alla trattazione orale su istanza del difensore, tale diritto gli è stato negato in un processo a Roma. «Si trattava di un procedimento per il mantenimento dei figli, per cui ho chiesto la comparizione personale e l'udienza orale, in quanto ne avvertivo l’esigenza - spiega -. Il giudice mi ha risposto che non ci sono profili per la trattazione orale e che ogni cosa poteva essere documentata per iscritto, riservandosi, all'esito del deposito di note scritte, di fissare un’eventuale comparizione delle parti. Ma la legge non prevede la facoltà di scegliere se concedere o meno l’udienza in presenza. Ed è ridicolo: è come fare il processo al Monopoli. Ritengo ci sia un grosso deficit del diritto di difesa - conclude - perché vuol dire che o il giudice ha già deciso a prescindere o non considera importante il nostro ruolo nel processo.

Ciò, e la superficialità di risposte quali “noi la pec non la leggiamo”, non è ammissibile, soprattutto in un momento storico delicato e difficile per tutti, amministrazione della giustizia inclusa».