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Non c’è mai stata un’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti a Roma e nel Lazio. Sono serviti quasi 10 anni di indagini e quattro di processo, nonostante il giudizio immediato, per arrivare alla conclusione raggiunta lunedì, dopo otto ore di camera di consiglio, dalla prima sezione penale del tribunale di Roma: l’imprenditore Manlio Cerroni non ha commesso il fatto, dunque va assolto. Sulla testa del’ex patron della discarica di Malagrotta pendeva l’accusa di essere capo e promotore di un sodalizio criminoso che si è arricchito smaltendo i rifiuti sin dagli anni ‘ 50, in un regime di assoluto monopolio. Reati a cui si aggiungevano la frode in pubbliche forniture, la truffa in danno di enti pubblici e la falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atti pubblici. Accuse giudicate infondate e in parte prescritte, anche per quanto riguarda gli altri imputati, tra i quali l’ex presidente della Regione Lazio Bruno Landi e diversi dipendenti regionali. Per il pm Alberto Galanti, che aveva chiesto 6 anni di carcere per Cerroni, «lui determinava l’emer- genza rifiuti e lui si proponeva come unica soluzione ad essa». Nulla di tutto ciò, però, secondo i giudici. Che hanno sposato, invece, la tesi della difesa di Cerroni, secondo cui la gestione dei rifiuti sarebbe stata esemplare. «Ci sono voluti 10 anni per dimostrare qualcosa sarebbe stato compreso subito se ci fosse stato un atteggiamento più dialettico da parte della Procura - spiega al Dubbio l’avvocato Alessandro Diddi -. Cerroni ha chiesto tre volte di essere ascoltato nel corso delle indagini, ma il pm non ha mai ritenuto di farlo».
«L’arresto è un marchio che ti segna per tutta la vita», ha affermato in aula, prima della sentenza, il “Supremo” - come veniva definito nelle intercettazioni -, parlando di una «grande gogna mediatica» dagli «effetti devastanti». Uno «tsunami che, guidato, si è abbattuto su di me», ha dichiarato, parlando anche dello stato attuale della gestione dei rifiuti a Roma, diventata una «discarica a cielo aperto», mentre «l’Ama è prossima a Caporetto». Dal giorno dell’arresto, il 9 gennaio 2014, «è stato tutto un susseguirsi di procedimenti e fascicoli aperti nei miei confronti alla ricerca ossessiva di un reato da ascrivermi».
L’ultima «umiliazione» il 21 settembre, quando si è visto interdire l’ingresso a Malagrotta dall’amministratore giudiziario nominato dalla Procura. Per il ras dei rifiuti, la batosta più grande è stata proprio l’interdittiva antimafia che ha impedito alle sue aziende di lavorare con la pubblica amministrazione, con tutto il corollario di problemi finanziari che ne è conseguito. «Ma in questo settore i rapporti si hanno solo con la pa e quella interdittiva non ha creato problemi solo a Cerroni, ma a tutta Roma - spiega Diddi -, perché gli unici impianti presenti sono i suoi. Ecco spiegato perché la città sta naufragando sotto i rifiuti». Diddi ha annunciato ricorso immediato contro l’interdittiva, «sperando che nel revocarlo abbiano la stessa velocità che ci hanno messo nell’emetterlo», ha aggiunto. E sperando anche in un totale riabilitazione del nome di Cerroni. «I giornali hanno fatto credere che il problema dei rifiuti dipendesse da Cerroni, descritto come un corruttore e un avvelenatore di falde - conclude -. Credo che questa sentenza abbia fatto chiarezza: lui non è nulla di tutto questo. La sua gestione dei rifiuti è stata legittima e se ci sono responsabilità vanno cercate altrove».