Non è sanzionabile un semplice saluto tra detenuti al 41 bis appartenenti a diversi gruppi di socialità. La Cassazione, con la sentenza numero n. 35216 del 2020, mette così il sigillo al ricorso presentato dal ministero della Giustizia contro la magistratura di sorveglianza che ha annullato la sanzione disciplinare che il consiglio di disciplina del carcere de L’Aquila ha inflitto a un recluso al 41 bis. Emanuele Argenti, sottoposto al regime del 41 bis del carcere aquilano, aveva proposto reclamo davanti al Magistrato di sorveglianza, ai sensi dell'art. 35-bis Ord. pen., avverso la sanzione disciplinare inflittagli perché aveva salutato un altro detenuto, anch'egli sottoposto al 41 bis, appartenente a diverso gruppo di socialità. Con ordinanza del 6 febbraio del 2019, il Magistrato di sorveglianza dell'Aquila accolse il reclamo proposto da Argenti, sul presupposto che il saluto rivolto ad altro detenuto non integrasse alcuna forma di comunicazione, implicando tale nozione uno scambio di dati, stati d'animo, sensazioni, non ravvisabile nel semplice saluto. Il ricorso del ministero della Giustizia rigettato anche dal Tribunale di sorveglianza dell'Aquila  Il ministero della Giustizia ha fatto ricorso chiedendo l'annullamento della ordinanza impugnata, sul presupposto che il divieto di comunicazione imposto ai detenuti al 41 bis abbia “la finalità di impedire i collegamenti del detenuto che vi è sottoposto con il sodalizio criminoso di appartenenza”.Il Tribunale di sorveglianza dell'Aquila ha rigettato però il reclamo del ministero, ritenendo che nella semplice dichiarazione di saluto, anche qualora accompagnata dalla menzione di un nome proprio di persona, ma non inquadrata nel contesto di una conversazione, non si ravvisa una comunicazione in senso proprio. A quel punto il ministero è ricorso in Cassazione per mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato. Per la Corte suprema, però, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. Il comma 2-quater, lett. f) della stabilisce che per il 41 bis siano «adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità». La ratio di tale previsione è chiaramente quella di impedire la possibilità di una circolazione di informazioni che consentirebbe la prosecuzione dell'attività di gestione delle attività criminali dall'interno del carcere. Circolazione che sarebbe resa possibile da interazioni non soltanto di tipo linguistico, ma anche di natura non verbale. Ne consegue che non ogni tipo di interazione può essere ritenuta di natura comunicativa e che la nozione di comunicazione deve essere estesa a ogni manifestazione esteriore in grado di veicolare un contenuto informativo idoneo a vulnerare le menzionate esigenze di controllo. Nel caso di specie si tratta di una dichiarazione di saluto La Cassazione, però, sottolinea che la questione, all'evidenza, si pone in termini di particolare complessità nei casi di comunicazione occulta, ovvero nelle ipotesi in cui una interazione di carattere apparentemente neutro nasconda un significato diverso da quello apparente. «Il comportamento non verbale, invero, - si legge nella sentenza della corte suprema - può essere informativo, quando i gesti assumono un identico significato tra gli interlocutori, comunicativo, comprendenti i gesti inviati da un emittente a un ricevente per trasmettere un messaggio chiaro e univoco, e interattivo, rappresentato da tutti quei gesti che influenzano il comportamento dei partecipanti alla comunicazione e degli osservatori presenti nel contesto in cui si verificano».Ma nel caso di specie, si è in presenza di una dichiarazione di saluto rivolta dal detenuto ad altri ristretti, appartenenti ad altro gruppo di socialità e non inserita in un contesto di conversazione. «Dunque, deve escludersi che si fosse in presenza di una "comunicazione" nel senso indicato, non essendovi stata alcuna trasmissione di informazioni da un individuo a un altro», osserva sempre la Cassazione per dichiarare infondato il ricorso.