Tra i magistrati della neonata procura europea ce ne sarà uno indagato per aver omesso delle prove decisive in un processo. Si tratta del pm milanese Sergio Spadaro, indagato insieme al procuratore aggiunto Fabio De Pasquale dalla procura di Brescia per rifiuto d'atti d'ufficio, nell’ambito del processo ai vertici Eni conclusosi a marzo scorso con l’assoluzione di tutti gli imputati. La grana interna alla procura di Milano rischia di diventare, dunque, un affare europeo. E ora le eventuali conseguenze disciplinari che verranno assunte dal Csm, che ha già ricevuto tutte le informazioni del caso sulla vicenda, dovranno anche essere comunicate al procuratore capo dell’Eppo. Spadaro è uno dei sei pm milanesi scelti dal Csm per ricoprire il ruolo di procuratori europei delegati e occuparsi di perseguire i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. Oltre a lui sono stati scelti Gaetano Ruta, Donata Costa, Giordano Baggio, Adriano Scudieri ed Elisa Moretti, che andranno a ricoprire tale ruolo assieme ad altri 14 colleghi italiani. E ben tre su sei - Spadaro, Ruta e Costa - provengono dall’ufficio diretto dall’aggiunto milanese Fabio De Pasquale, ovvero il dipartimento Affari internazionali - Reati economici transnazionali. In sede di votazione al plenum del Csm, Spadaro è colui che ha ottenuto il punteggio più alto, assieme a Baggio e Costa, per aver dimostrato di «possedere un profilo che coniuga una lunga, qualificata e continuativa esperienza nella conduzione di indagini per reati che rientrano nelle specifiche competenze della Procura Europea e un’altrettanto significativa competenza nella cooperazione giudiziaria in materia penale». Ai tre, dunque, è stato attribuito un punteggio complessivo di 9, per essersi «occupati con continuità ed esclusività di tali materie tanto da potersi definire degli “specialisti” del settore». In base al regolamento dell’Eppo, nei casi in cui i procedimenti disciplinari vengano promossi in ambito nazionale, «al fine di tutelare l’integrità e l’indipendenza» della procura europea, «è opportuno che il procuratore capo europeo sia informato della rimozione o di eventuali provvedimenti disciplinari». Il collegio dell’Eppo può procedere alla rimozione dall’incarico nei casi in cui il procuratore europeo delegato «non è in grado di esercitare le sue funzioni o ha commesso una colpa grave». Inoltre, «il collegio può rigettare la designazione qualora la persona designata non soddisfi i criteri» previsti dal regolamento interno. Non è possibile, invece, che sia lo Stato membro a rimuovere dall’incarico magistrato europeo o adottare provvedimenti disciplinari nei suoi confronti per motivi connessi alle responsabilità che gli derivano dal regolamento dell’Eppo. «Se il procuratore capo europeo non dà il suo consenso - continua il regolamento -, lo Stato membro interessato può chiedere al collegio di esaminare la questione». Come noto, Spadaro (insieme a De Pasquale) è indagato per non aver depositato alcune prove nel processo sul caso Eni-Nigeria. Tutto partirebbe dall’interrogatorio di Paolo Storari, anche lui pm della procura meneghina e indagato a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio per aver consegnato i verbali dell’ex avvocato esterno dell’Eni, Paolo Amara, all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Storari ha infatti comunicato ai pm di Brescia di aver informato i due colleghi di alcune circostanze relative alla posizione di Vincenzo Armanna, grande accusatore di Eni, che - secondo quanto emerso dalla sentenza di assoluzione dei dirigenti della società petrolifera accusati di aver versato una maxi tangente da 1 miliardo e 92 milioni ai politici nigeriani per l’ottenimento del blocco petrolifero per il giacimento Opl245 - avrebbe in realtà agito con lo scopo di screditare e gettare fango sulla compagnia. Storari, che assieme all’aggiunta Laura Pedio stava interrogando Amara nell’inchiesta sul “Falso complotto Eni”, avrebbe inviato alcune mail ai vertici dell'ufficio evidenziando l’inattendibilità dell'ex manager Armanna, sostenendo che sentirlo ancora a verbale sarebbe stato dannoso per le sue indagini. Storari avrebbe illustrato il proprio punto di vista non solo a De Pasquale e Spadaro, ma anche al procuratore Francesco Greco e all’aggiunta Pedio. In quelle mail il pm segnalava di aver trovato nel telefono di Armanna delle chat dalle quali sarebbe emerso come quest’ultimo avesse versato 50mila dollari al teste Isaak Eke per fargli rilasciare delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di alcuni coimputati. Tuttavia, nel processo sono state poi depositate dalla difesa di Armanna solo le presunte chat «false» che la stessa aveva già prodotto a De Pasquale e Spadaro. Tra i messaggi scovati da Storari anche la richiesta di Armanna ad Eke di restituire il denaro. Spadaro e De Pasquale, assieme all’aggiunta Pedio, non risposero mai a Storari, ma inviarono una nota di 11 pagine a Greco, sostenendo invece che quei 50mila dollari fossero un compenso promesso da Armanna all’amico poliziotto per recuperare in Nigeria un file che gli stava a cuore. I due pm, inoltre, criticarono la legittimità procedurale nell'acquisizione di quelle chat da parte di Storari. Si trattava, inoltre, di materiale «informale» e «oggetto di indagini ancora in corso». Tra le prove non finite a processo anche il video favorevole agli imputati girato da Amara, che dimostrerebbe il tentativo di Armanna di screditare i vertici della compagnia, video che la procura di Brescia ha chiesto di acquisire. A scoprire il video, del tutto casualmente, la difesa di uno degli imputati in un altro processo, chiedendone conto, in aula, ai due pm. E lì De Pasquale ha ammesso di essere in possesso «già da tempo» di quella prova, spiegando di «non averlo né portato a conoscenza delle difese né sottoposto all’attenzione del Tribunale perché ritenuta non rilevante». Comportamento censurato dai giudici, che hanno definito in sentenza «incomprensibile» quella scelta. Gli stessi giudici che nelle motivazioni delle assoluzioni hanno definito inattendibile Armanna, così come sostenuto da Storari, affermando che lo stesso avrebbe «utilizzato gli strumenti processuali per finalità personali, arrivando ad orchestrare un impressionante vortice di falsità».