I giudici di Appello hanno sbagliato «nel ritenere sussistente il dolo e colpa grave in rapporto al diverso, e mai contestato, delitto di partecipazione nel reato associativo di stampo mafioso, considerato che il ricorrente è stato processato e condannato per il diverso reato di concorso esterno nel reato associativo, la cui configurabilità è stata, tuttavia, esclusa dalla Corte Edu per incertezza descrittiva e imprevedibilità di configurazione giuridica all’epoca dei fatti». A dirlo sono i giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione nelle motivazioni con cui lo scorso 24 giugno hanno annullato con rinvio l’ordinanza con la quale la Corte di Appello di Palermo aveva rigettato la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dall’ex 007 da Bruno Contrada, in conseguenza della condanna dichiarata convenzionalmente illegittima nel 2015 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

«Qui si annida l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale, che pure aveva evidenziato nell’ordinanza qui impugnata elementi sintomatici di condotte di favoreggiamento in alcuni comportamenti di Contrada e tale errore - scrivono i giudici della Cassazione motivando la loro decisione ha determinato una violazione sostanziale di cui all’articolo 7 Cedu (nulla pena sine lege). Questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa o colposa di cui all’art. 314 del codice di procedura penale costituisce una condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo qualora sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta stessa e il provvedimento che ha dato luogo alla restrizione cautelare».

Secondo il collegio, dunque. «l’ordinanza impugnata» avrebbe «operato un’interpretazione ermeneutica non consentita là dove ha collegato le condotte accertate, che ha ritenuto rilevanti e sinergiche nella causazione della privazione della libertà prima e della pena poi, al reato di partecipazione all’associazione mafiosa, reato mai contestato al ricorrente. Ciò non significa ancora che sussistano i presupposti, la cui verifica era già stata demandata ai giudici con la sentenza rescindente, per il riconoscimento del diritto all’equa riparazione, ma tale verifica andava compiuta, come richiesto dalla pronuncia di annullamento».

Da qui l’annullamento, «dovendo, il giudice del nuovo rinvio, sulla scorta degli accertamenti in punto di fatto indicati nell’ordinanza impugnata, determinare la ricorrenza del dolo o colpa grave, causa ostativa alla riparazione, in relazione non già alla fattispecie di reato di partecipazione all’associazione mafiosa, mai contestata e rispetto la quale il ricorrente non si è mai difeso nel processo, bensì rispetto a condotte sinergiche al favoreggiamento sia delle singole vicende accertate, sia dell’associazione mafiosa. Al giudice del rinvio - spiegano i supremi giudici - è richiesto di valutare, sulla scorta delle individuate condotte ritenute rilevanti, già evidenziate nell’ordinanza impugnata, con autonomo giudizio, se le stesse con giudizio ex ante rendevano prevedibile l’intervento dello Stato in relazione alla diversa fattispecie di reato di favoreggiamento».

Contrada, difeso dall’avvocato Stefano Giordano, aveva chiesto la riparazione «per la pena sofferta con effetto della sentenza dichiarata ineseguibile e improduttiva di effetti penali dalla Cassazione del 2017». Nel gennaio 2021 la Cassazione aveva annullato con rinvio l’ordinanza di risarcimento della Corte d’Appello di Palermo che aveva riconosciuto all’ex 007 la riparazione per ingiusta detenzione, quantificandola in 667.000 euro, ripassando quindi la palla ai giudici palermitani.

Dopo il no della Corte presieduta da Antonio Napoli, dunque, ora la questione verrà affrontata nuovamente dai giudici d’Appello, che dovranno rivalutare il ricorso presentato dall’avvocato Giordano. Dopo la prima bocciatura, il legale aveva contestato violazione «per ben due volte il giudicato della Corte Europea, su cui il giudice interno non ha alcun margine di discrezionalità per quanto riguarda la sua esecuzione».

«Quella della Corte di Cassazione appare una sentenza dalla portata per così dire minimalista - commenta ora Giordano -. La Suprema Corte evita di soffermarsi sul complesso problema dei rapporti fra ordinamento convenzionale e ordinamento nazionale, riducendo la questione a un profilo di diritto esclusivamente interno. Pur non condividendo questo approccio, ne prendiamo ovviamente atto. E riserviamo al giudizio di rinvio, che si terrà di nuovo avanti la Corte d'Appello palermitana, ogni più ampia argomentazione difensiva in merito. Confidiamo che ci sia a questo punto più di uno spiraglio per l'indennizzo che spetta al mio cliente».