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Ci vorrebbe un corso accelerato di ascesi tibetana, per gestire le spinte schizofreniche del Senato sulla riforma penale. E infatti il ministro della Giustizia Andrea Orlando deve fare appello a tutta la sua proverbiale pazienza per non imprecare per esempio contro la scelta di accorpare il testo sulla prescrizione a quello "generalista" sul processo. Adesso non c'è altro da fare che procedere passo passo nell'aula di Palazzo Madama e incrociare un po' le dita. Conclusa giovedì la discussione generale, si riparte martedì 27, con le repliche dei due relatori, Felice Casson e Giuseppe Cucca, per poi passare al voto sui singoli articoli. Con un doppio mantra: evitare la fiducia, ma evitare anche che il disegno di legge sia stravolto. Orientati da questa bussola, governo e maggioranza seguiranno appunto la strada indicata dal guardasigilli: cominciare l'esame del ddl e valutare dopo un primo step se davvero sarà indispensabile porre la fiducia.Nell'auspicio di Orlando, del capogruppo Luigi Zanda e della "controparte interna" alla maggioranza, ovvero Area popolare, la versione della riforma approvata in commissione Giustizia dovrebbe passare liscia in mezzo al bombardamento dei voti segreti e degli emendamenti. Nel caso peggiore - un incubo non ancora allontanato - qualche blitz dell'opposizione potrebbe andare a segno, con l'aiuto della minoranza dem. In particolare sulla prescrizione, il tema sul quale mercoledì avevano raggiunto un accordo lo stesso ministro della Giustizia e i vertici di Ap al Senato, Laura Bianconi e Nico D'Ascola. Se per esempio con un colpo di scena non troppo fantasioso il governo andasse sotto su uno degli emendamenti Casson, l'intesa con i centristi salterebbe. E il ddl finirebbe per dover essere magari modificato di nuovo alla Camera, per poi tornare ancora al Senato. Se ne riparlerebbe insomma tra mesi, forse un anno.Quest'ipotesi nera per ora è lasciata nello sgabuzzino dei disastri improbabili. Ma in fondo basta poco perché si materializzi, per un motivo semplicissimo: il governo, Renzi in primis, vuole evitare a tutti i costi il ricorso alla fiducia. Blindare la riforma del processo penale vorrebbe dire regalare un rigore a porta vuota ai cinquestelle. Che immediatamente griderebbero al «regalo per mafiosi e corrotti». Già lo ha detto giovedì, per esempio, il senatore Mario Giarrusso nel suo intervento. Figuriamoci in caso di fiducia.RIFORMA CARCERE, RISCHIO PARALISILa fiducia è una bomba atomica da non sganciare, insomma: tanto più nel pieno della campagna referendaria. Dal punto di vista di Renzi sarebbe un suicidio. Ma se la fiducia resta un tabù, nessuno può essere sicuro che il ddl arrivi immacolato al voto finale. E qui però interviene il timore opposto a quello sulla controffensiva grillina. È il timore del guardasigilli Orlando. Che vorrebbe evitare un ulteriore, farsesco ritardo nell'entrata in vigore del provvedimento. Tra le decine di articoli ce n'è uno interamente destinato alla riforma dell'ordinamento penitenziario. Si tratta dell'articolo 31, che contiene in realtà una delega all'esecutivo, molto dettagliata però. Dentro ci sono tutte le scommesse degli Stati generali dell'aprile scorso: dal rafforzamento delle misure alternative all'affettività in carcere. Il ministro della Giustizia tiene molto ad andare avanti sui diritti e la dignità dei detenuti, tema su cui è intervenuto persino durante l'incontro interreligioso di Assisi. Ma visto che si parla di una delega, e dunque di altri necessari passaggi parlamentari, Orlando vuole evitare a tutti i costi che l'Aula del Senato alteri il testo del ddl e costringa Montecitorio a risistemarlo, anziché licenziarlo così com'è definitivamente.LA PROVA DEL NOVE SU SCIPPI E RAPINEDa martedì dunque, al più tardi da mercoledì mattina, si comincerà a votare sui primi articoli. E si verificherà la tenuta dell'Aula. L'opportunità di capire se davvero ci sono i numeri per portare a casa, intatto, il provvedimento, è offerta da una particolare circostanza: la prima parte del ddl è dedicata agli innalzamenti di pena per scippi, rapine e furti in appartamento. «Si tratta di norme che intervengono sulla libertà personale e dunque impongono per regolamento il ricorso al voto segreto», fa notare il relatore Casson. Si vedrà se davvero la minoranza dem seguirà la linea di partito. Se andrà bene, si andrà avanti fino alle forche caudine della prescrizione e delle intercettazioni. E appunto, si incroceranno le dita. Se invece già ci fossero avvisaglie di instabilità, si valuterà la fiducia ad hoc sugli articoli a rischio.MAXIEMENDAMENTO OUT: TROPPI "COMMI"Tra le modifiche che dividerebbero la maggioranza c'è anche quella sulle notifiche telematiche: il capogruppo dem in commissione Giustizia Beppe Lumia l'ha ritirata, come da accordi di pace con l'Ncd, ma Casson intende mantenere il suo emendameto. I centristi fanno notare che, con la digitalizzazione, le notifiche agli imputati perderebbero certezza. Sulla prescrizione "posticipata" per l'omicidio colposo legato alla sicurezza sul lavoro e per i reati ambientali, Lumia e il Pd si sono dissociati da Casson più a malincuore. E proprio per questo i rischi di un colpo di mano della minoranza dem, di sponda con i grillini, permangono tutti. Ma l'antidoto resta in ogni caso la fiducia mirata sugli specifici articoli, e non il maxiemendamento al testo. Quest'ultima ipotesi è più che problematica anche per un aspetto di qualità della legislazione, come si notava sul Sole-24Ore di giovedì: un maxiemendamento ridurrebbe gli articoli del ddl a commi. Già ora, per esempio, proprio l'articolo 31 sulla riforma penitenziaria è suddiviso in 12 "lettere", una delle quali, quella sui detenuti minori, specificata a sua volta in 8 punti. Se con la fiducia l'intero disegno di legge passasse dagli attuali 41 articoli a uno solo, quello del maxiemendamento appunto, il Senato partorirebbe un mostro. E un finale del genere non appassiona davvero nessuno.