Nonostante l’ordinanza di risarcimento per carcerazione disumana e degradante sia definitiva, sono passati tre anni e il ministero della Giustizia ancora non versa la somma dovuta. Una vicenda, e forse non l’unica, dove il ministero risulta inadempiente. A denunciare tutto questo a Il Dubbio, è l’avvocata Desi Bruno, già garante regionale dei detenuti dell’Emilia Romagna. Il caso riguarda Giuseppe Buzzi che nel 2015 era detenuto in espiazione per un cumulo di pene che avevano comportato un periodo non breve di carcerazione. Il tempo era trascorso in molte patrie galere, Cremona, Mantova, Monza, Bergamo sino a Piacenza. «Molti reati commessi in carcere – ci scrive l’avvocata Bruno-, nell’incapacità di adattarsi, resistenze a pubblico ufficiale, poi lesioni, tentati furti, danneggiamenti. Anche oggi è in carcere a Milano Opera per un altro cumulo, somma di condanne per reati della stessa tipologia, in attesa di una scarcerazione a conti con la giustizia del tutto saldati». Come sappiamo, nel 2013, dopo la sentenza Cedu Torreggiani che condannava l’Italia per il sovraffollamento carcerario, venne introdotto nell’ordinamento penitenziario l’art. 35 ter che prevede forme di ristoro nel caso in cui una persona ristretta abbia sofferto una detenzione non conforme ai criteri previsti dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta trattamenti inumani e degradanti.

L’avvocata Desi Bruno ricorda il criterio che si scelse allora per decidere il discrimine tra carcerazione umana è disumana. Semplificando è necessario fare riferimento al cosiddetto spazio minimo vitale misurato in 3 mq ( al netto del bagno e di arredi fissi). Giuseppe Buzzi decise di fare reclamo all’Ufficio di Sorveglianza di Reggio Emilia, competente per territorio che, a seguito di esaustiva istruttoria condotta in tutti i luoghi di detenzione indicati dal Buzzi, stabilì che per 1883 giorni di detenzione era stata violato il principio di umanità della pena, in quanto nelle celle in quel periodo lo spazio vitale era stato inferiore a 3 mq. Quasi 5 anni di detenzione disumana. L’ordinanza, datata 18 febbraio del 2015, è diventata definitiva il 6 luglio 2017. La somma liquidata dal magistrato di sorveglianza secondo i parametri stabiliti per legge, è pari ad 13.904 euro. «Una somma enorme – sottolinea l’avvocata - per chi è un emarginato, senza più familiari viventi, senza prospettive di lavoro ma nemmeno di accoglienza». Ma da allora, nulla. Innumerevoli sono stati i solleciti e le diffide affinché il ministero competente provvedesse al versamento della somma, anche per evitare una lunga procedura esecutiva nei confronti proprio di chi dovrebbe garantire l’adempimento di quello che ha stabilito un giudice della Repubblica in attuazione di una legge dello Stato.

«Ora - spiega Desi Bruno - si attende da mesi che si possa partire con la procedura esecutiva perché l’ufficio competente deve prima apporre la formula esecutiva sul provvedimento». Sono passati tre anni senza che nulla sia successo. «Per molti è scandaloso che si riconosca una forma di risarcimento a chi ha commesso reati – sottolinea l’avvocata -, e che si voglia assicurare un trattamento rispettoso della dignità della persona. Ma il ministro di Giustizia e l’amministrazione della giustizia non possono dimenticare né Buzzi né tutti coloro che, contro l’opinione comune malformata è male orientata sulla condizione carceraria, hanno vissuto una condizione degradante, in violazione di quel senso di umanità che dovrebbe sorreggere e guidare il sistema penitenziario». Desi Bruno conclude amaramente che «ora come in passato, nulla sembra mutare».