«A me non interessa discutere delle sentenze. I processi sono chiusi. L’unico aspetto che mi interessa è la salute del mio assistito. E la situazione è critica». A dirlo è l’avvocato Antonio Spadaro, difensore di Giuseppe Marcianò, arrestato il 21 giugno 2006 e condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio di Francesco Fortugno, all’epoca vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria. Marcianò, nel 2015, ha scoperto di essere affetto da sclerosi multipla e nonostante i diversi esposti indirizzati al magistrato di sorveglianza per ottenere cure adeguata ad oggi non ha ottenuto risposta. E ora, nella speranza di poter affrontare in maniera dignitosa la propria malattia, ha scritto, attraverso il suo avvocato, alla ministra della Giustizia Marta Cartabia e per conoscenza al garante nazionale per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale, chiedendole di visitare il carcere di Milano Opera, dove si trova recluso, per vedere dal vivo la situazione in cui si trova. «Quello che chiedo spiega Spadaro al Dubbio - non è che sia libero di andarsene in giro in libertà, ma che si verifichi se effettivamente un essere umano può essere mantenuto in carcere in quella condizione». Dal 2016 Marcianò, che si trova in alta sicurezza, ha presentato nove esposti, evidenziando, tra le altre cose, l'assenza di un medico a cui rivolgersi, la mancata somministrazione della dieta prescritta e autorizzata dal magistrato e la sospensione di farmaci. «Quello che chiede - continua Spadaro - è di essere curato, di essere ricoverato. Un anno fa abbiamo scritto anche al Presidente della Repubblica, unica lettera alla quale abbiamo ricevuto risposta, e ci era stato detto che la questione sarebbe stata sottoposta all’attenzione del ministro. Ma non è successo nulla».

La malattia è in stato avanzato e l’ultima risonanza effettuata ha evidenziato la presenza di ulteriori lesioni midollari. A ciò si associa la difficoltà a deambulare e, talvolta, anche a parlare. «Avrebbe bisogno di fisioterapia continua - spiega ancora il legale -. È stato anche riconosciuto portatore di handicap, ma non è cambiato nulla». La norma vuole che ad ogni istanza avanzata dal detenuto il Tribunale nomini un medico per verificare se la patologia sia curabile o meno in carcere. Ma il medico, spiega il legale, non è stato mai nominato, in quanto «le cure vengono somministrate con regolarità». Ma nonostante questo Marcianò continua a peggiorare di giorno in giorno, «a dimostrazione che le cure sanitarie praticate in ambito intramurario non producono alcun beneficio. Probabilmente ha bisogno di una struttura altamente specializzata», evidenzia Spadaro. Nella lettera, che definisce una «richiesta d’aiuto», il legale evidenza «la mancanza di interventi sanitari per la sua grave patologia ( sclerosi multipla degenerativa e peggiorativa) che negli anni è pericolosamente peggiorata». I magistrati di sorveglianza incaricati di valutare le istanze di differimento della pena avanzate dalla difesa hanno sempre rigettato le richieste, senza nominare mai un medico, «in modo da poter verificare se la grave condizione sanitaria del condannato, derivante dalla sua grave patologia, fosse o non fosse curabile all’interno della struttura carceraria».

La richiesta non è tesa a stabilire se Marcianò sia o meno compatibile con il carcere, ma «comprendere se quella patologia ( grave) sia curabile in carcere e, nel caso non lo fosse, sancire la sussistenza dell’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione - si legge nella lettera -; per come statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, occorrerà verificare che l’infermità e/ o la malattia non siano tali da comportare un serio pericolo di vita, in assenza di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o ancora da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere sempre improntato il trattamento penitenziario». Lo scopo della lettera è ottenere una valutazione complessiva dello stato di salute di Marcianò, in grado di tener conto anche del tasso di logoramento fisico legato alla condizione di detenzione, per verificare in che modo la struttura carceraria sia compatibile con le sue condizioni di salute, se le cure siano soddisfacenti e adeguate e «se il continuo peggioramento della malattia sia da imputarsi solo al normale decorso della stessa o non anche alla condizione detentiva e se tale condizione si collochi al di sopra di quel livello di dignità dell’esistenza che deve essere assicurato a tutti i detenuti». Senza tale valutazione, denuncia Spadaro, si rischia di andare incontro ad una violazione degli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, «i quali riguardano l’uguaglianza formale di tutti i cittadini dinanzi alla legge, la legalità e la proporzionalità della pena, la personalità e l’umanizzazione della stessa, nonché la rieducazione del condannato, che si mostra principio cardine di una giustizia la cui ratio deve ricercarsi non soltanto nella repressione ma, altresì, nel “tentativo” di recupero sociale del reo». Ma si violerebbe anche l’articolo 3 della Cedu, che garantisce il diritto alla salute delle persone detenute, conclude Spadaro. Che nella sua lettera cita proprio Cartabia: «Per tutti il carcere deve avere finestre aperte sul futuro, deve essere volto a un futuro di reinserimento sociale, come esige la Costituzione».