Prosegue il botta e risposta tra l’avvocatura e la procura di Udine, dopo la notizia delle perquisizioni negli studi e nelle abitazioni private di due legali friulani, indagati di concorso in infedele patrocinio. Il fatto, stigmatizzato in una mozione approvata dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Udine, è avvenuto il 23 giugno scorso, quando i due difensori hanno subito le perquisizioni e il sequestro di oggetti personali perchè, sulla base delle indagini del pm, uno dei due avvocati avrebbe suggerito ad una cliente ( accusata di favoreggiamento nei confronti del marito), di rimanere in silenzio durante un interrogatorio.

Il secondo, invece, difensore del marito dell’indagata, è stato indagato per di essersi scambiato informazioni con il collega. Dettaglio curioso, la richiesta di perquisizione è stata depositata dal pm, vistata dal Procuratore capo e accolta dal Gip, tutto nell’arco dello stesso giorno.

Non solo, il procedimento contro i due legali ha avuto anche grande clamore nelle pagine di cronaca dei quotidiani locali. Un clamore che - come sottolineato dall’Ordine di Udine - «ha determinato pregiudizio e nocumento all’intera categoria professionale». L’Ordine friulano ha definito come «strano e incongruo» il fatto che il pm abbia ravvisato il reato di infedele patrocinio nell’invito al proprio assistito di esercitare un diritto garantito dall’ordinamento.

Singolare, inoltre, anche il fatto che sia stato disposto un interrogatorio in relazione al reato di favoreggiamento commesso a vantaggio del marito, «laddove il codice prevede espressamente il vincolo di coniugio quale causa di non punibilità». Infine, l’Ordine ha sottolineato come il Codice Deontologico forense preveda che «l’avvocato, nell’interesse della parte assistita e nel rispetto della legge, collabora con i difensori delle altre parti anche scambiando informazioni, atti e documenti».

Il Consiglio Nazionale Forense ha preso immediatamente posizione al fianco dell’Ordine di Udine, sottolineando come l’iniziativa del pm sia «a dir poco inquietante per l’inaccettabile invasività dell’esercizio del diritto di difesa, rilevato che la richiesta della autorizzazione alla perquisizione indica fra i possibili corpi di reato o cose pertinenti al reato gli atti e i documenti relativi al fascicolo di studio, computer, tablet, apparecchi telefonici, iniziativa questa certamente ed oggettivamente grave, atteso come il lavoro, la funzione, il valore della Difesa deve trovare riconoscimento prima di tutto ad opera di chi agisce all’interno della giurisdizione» e si è detto disponibile a «iniziative nelle opportune sedi istituzionali».

Dura presa di posizione è arrivata anche da parte dell’Unione Camere penali, che ha espresso solidarietà ai due colleghi, «stigmatizzando con forza ogni compressione del diritto di difesa e ogni interferenza impropria nell’esercizio della funzione difensiva». E, a sostegno della Camera Penale Friulana, si è dichiarata «pronta a sostenere ogni iniziativa che essa intendesse intraprendere a tutela dell’inviolabilità del diritto di difesa».

Alle reazioni compatte dell’avvocatura ha risposto il Procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo, che ha sostenuto che «l’esercizio della facoltà di non rispondere e il consiglio dell’avvocato di avvalersene sono, come ovvio, atti legittimi che mai potrebbero esporre qualcuno a responsabilità penale. La questione è più complessa e abbiamo cercato di affrontarla accuratamente nel ricorso per Cassazione depositato sabato scorso». Intanto, con ordinanza dello scorso 13 luglio, il Tribunale del Riesame di Udine ha disposto l’annullamento del provvedimento di perquisizione e di sequestro e la restituzione di quanto sequestrato, «non essendo ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele contestato».