Oltre 130 assassinati nell’esercizio del proprio mestiere, 1500 accusati, 600 carcerazioni preventive e 152 condannati per ragioni politiche.

È una lista vertiginosa e vergognosa quella raccolta nel 2019 ces avvocats il prezioso volume pubblicato dall’Istituto per i diritti dell’uomo e degli avvocati europei ( IDHAE) un’organizzazione non governativa nata con lo scopo di promuovere i temi della difesa. Che si tratti di repressione di Stato o di attacchi di gruppi terroristi, organizzazioni criminali o semplici fanatici, non si può che restare inquietati dal catalogo. Una lista fatta di squarci atroci, che fotografa quanto lo Stato di diritto venga messo sotto attacco ai quattro angoli del pianeta. Se triste primato delle persecuzioni nei confronti dei difensori appartiene alla Turchia del “sultano” Erdogan, sono decine i paesi dove esercitare la professione è una vera e propria missione, dall’Iran degli ayatollah, all’Egitto del generale al- Sisi, dal Messico dei Narcos alla Cina, dall’Honduras al Sudan, alle Filippine.

E in molti Stati la situazione sembra peggiorare di anno in anno come in Brasile, dove dal 2016 in 45 hanno perso la vita per motivi legati alla professione in un escalation definita «incontrollabile» dal presidente della Commissione nazionale dela Difesa Càssio Telles.

La nazione che conta il maggior numero di vittime è il Messico dove hanno perso la vita 33 legali, un numero impressionante che però si inserisce nel contesto delle guerre dei cartelli della droga che nel solo 2018 hanno causato oltre 30mila morti.

Diminiuscono invece le vittime in Pakistan: “solo” 8 ( gli stessi della confinante India) nel 2018, anche se nel 2016 ne morirono oltre 60 nella strage dell’ospedale di Quetta. Alcune casi sono finiti sotto la ribalta dei riflettori, basti pensare all’iraniana Nasrin Soutudeh, condannata a 38 anni di prigione e a 248 frustate per “cospirazione contro la Repubblica islamica” e “crimini contro la sicurezza nazionale”. O al pakistano Saif- ul- Malook, difensore della cristiana Asia Bibi ( condannata a morte per blasfemia e poi graziata), costretto a lasciare il proprio paese per le minacce degli estremisti religiosi. O ancora la turca Eren Keskin, condannata a 12 anni per aver «denigrato il presidente» e oggetto di 140 procedimenti giudiziari a causa del suo impegno per i diritti civili in un paese dove la democrazia e sospesa dal luglio 2016 e che vive in uno stato di emergenza permanente. In Russia la repressione o la negazione del diritto alla difesa passa anche attraverso le leggi approvate dal Parlamento; nel 2017 una modifica del Codice civile ha impedito a 8000 colleghi di rappresentare i propri clienti in tribunale e sono migliaia gli avvocati convocati nei commissariati di polizia per avere notifica della propria radiazione, in particolare nella regione della Crimea.

Uno degli aspetti più inquietanti è l’impunità che circonda gli omicidi.

In Honduras, per fare l’esempio più eclatante, circa 150 avvocati sono stati uccisi dal 2002 al 2018 e nel 99% dei casi non si è mai trovato il colpevole con l’archiviazione delle inchieste.