Rovesciare il quadro: niente processi d’appello cartolari e camere di consiglio da remoto, a meno che non sia il difensore a chiederlo. È il senso dell’emendamento al decreto Ristori bis presentato dalla Lega in materia di giustizia penale. Una proposta firmata da Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama e prima linea di Salvini in materia di processi, e da tutti gli altri senatori del Carroccio della stessa commissione, “supportati” da colleghi di partito, come l’economista Alberto Bagnai, che ne discuteranno direttamente in commissione congiunta. È una opzione condivisa anche dal resto del centrodestra e, in gran parte, da Italia viva. Con buone possibilità dunque, di passare le forche caudine dell’esame nella “congiunta” Bilancio e Finanze di questo fine settimana L’iniziativa leghista viene incontro alle richieste dell’avvocatura. Da ultimo, del presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza, che lunedì scorso ha inviato una lettera al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per chiedere che venga «cancellata» la «insensata e pericolosa norma» sulle Corti d’appello, secondo cui il processo di secondo grado avviene col deposito telematico delle conclusioni di pm e difensori e, appunto, con giudici che decidono in videoconferenza, salvo che lo stesso pm o uno degli avvocati avanzi richiesta di discussione orale. In altri termini: nel testo del decreto, in vigore dallo scorso 9 novembre e già attuato quindi dalle Corti d’appello di tutta Italia, la via cartolare- telematica è la regola e la discussione orale l’eccezione; secondo l’emendamento leghista, invece, si parte di default senza sconvolgere le regole del processo d’appello, dunque con giudizi in presenza, salvo che siano le «parti private», come si legge nel testo dell’emendamento, a chiedere di «procedere in modo cartolare».

L’obiezione che Caiazza ha avanzato al guardasigilli nella sua lettera di lunedì è semplice e sottile nello stesso tempo: nella pratica, l’attuale situazione rischia di precludere, agli stessi giudici del collegio della Corte d’appello, l’effettivo accesso agli atti. Se la Camera di consiglio deve svolgersi da remoto, vuol dire che solo il relatore potrà fisicamente ottenere la visione del fascicolo. E nei casi più impegnativi per dimensione, segnala il presidente dell’Ucpi, «nemmeno lui». Sentenze di secondo grado emesse praticamente alla cieca, insomma: sarebbe questo il risultato della norma anti covid inserita dal governo nel decreto Ristori bis, il numero 149 del 2020. A meno che, ha scritto Caiazza a Bonafede, non si verifichi quanto rischia di diventare inevitabile: vale a dire che il difensore, pur di evitare un processo farsa, chieda la modalità in presenza in un numero di occasioni assai superiore, «con l’effetto di aumentare, anziché diminuire, le presenze nelle aule».

I numeri al Senato sono sul filo. L’esame degli emendamenti è competenza della sola congiunta Bilancio e Finanze. Ma la propensione di Italia viva a evitare la deriva burocratica del processo può fare la differenza. D’altra parte, i dati delle prime quattro settimane di vigenza del Ristori bis suggeriscono una diffusa adesione della stessa avvocatura all’appello in modalità telematica. Il senso delle richieste dell’Ucpi, raccolte da centrodestra è renziani, risponde dunque al principio per cui il processo è delle parti e, in campo penale, deve considerare l’imputato sempre e comunque in posizione centrale. Sullo sfondo, insomma, oltre alla credibilità delle sentenze in tempo di covid, c’è anche la volontà di non rassegnarsi a una giustizia robotica, dall’approccio sbrigativo. Anche perché nessuno garantisce che le modalità pensate per l’emergenza non lascino, dopo, strascichi pericolosi per lo Stato di diritto.