Sta scontando l’ergastolo da oltre 30 anni per un triplice omicidio e un tentato omicidio avvenuto nel cagliaritano l’8 gennaio 1991. Si chiama Beniamino Zuncheddu, attualmente in regime di semilibertà presso il carcere di Cagliari, e grazie alla tenacia dell’avvocato Mauro Trogu sta lottando su due fronti: da una parte la revisione del suo processo attualmente in corso innanzi alla corte d’Appello di Roma, grazie alle nuove schiaccianti prove che delineano la sua innocenza; dall’altra l’ottenimento della liberazione condizionale che trova ostruzionismo dal tribunale di Sorveglianza che per ben due volte ha rigettato la richiesta, nonostante la Cassazione abbia annullato per l’ennesima volta l’ordinanza di rigetto.

La vicenda ha dell’incredibile. Come ha sottolineato il blog Terzultima Fermata, con un articolo a firma di Riccardo Radi, la storia di Zuncheddu potrebbe essere annoverata tra i più grandi errori giudiziari della storia italiana. Parliamo di un uomo che ha varcato la soglia del carcere a 27 anni e non è più uscito. Un’intera esistenza privata della sua libertà per una sola e unica prova: la testimonianza dell’unico teste oculare, colui che è sopravvissuto alla terribile strage che all’epoca creò tanto scalpore. Inizialmente ha raccontato che l’autore degli efferati omicidi aveva il volto coperto da una calza e quindi non poteva riconoscerlo. Poi a distanza di giorni cambia versione e dice che sì, l’omicida aveva il volto scoperto e tramite un inusuale riconoscimento fotografico (senza il classico confronto all’americana) ha indicato Zuncheddu.

Ebbene, come si legge nella richiesta di revisione del processo avanzata dall’ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni, oggi in servizio a Milano, e dall’avvocato Mauro Trogu, accade che le primissime indagini stavano andando in una direzione ben precisa, forse quella più vicina alla realtà dei fatti. Ma hanno avuto una brusca inversione di rotta tramite un sovrintendente della Criminalpol. Lui stesso riferirà che sul finire del gennaio 1991 aveva ricevuto una confidenza nella quale si indicava Beniamino Zuncheddu come l'autore degli omicidi. Da quel momento iniziò a esercitare una insolita pressione sul testimone, intrattenendo con lui numerosissimi colloqui investigativi mai verbalizzati. L'ispettore riferirà a dibattimento che, dal momento in cui acquisì la confidenza, smise di credere al fatto che lui non avesse potuto vedere l'assassino, e fondamentalmente lo trattò da bugiardo, spingendolo a dire la "verità". Circa venti giorni dopo le rivelazioni della fonte confidenziale, e all'esito di quelle pressioni, il testimone oculare si dichiarerà pronto a dire la verità e capace di riconoscere l'autore degli omicidi, affermando che costui in realtà aveva agito a volto scoperto, individuando Zuncheddu dapprima in fotografia davanti al pubblico ministero e successivamente in una ricognizione in sede di incidente probatorio.

Nel frattempo, nel 2020, la procura generale di Cagliari ha avviato una nuova inchiesta e sono spuntate fuori delle intercettazioni ambientali tra il testimone oculare e sua moglie. Era appena stato sentito dalla procura e – secondo la perizia della difesa - dialogando con la consorte emergerebbe chiaramente la sua mala fede. Non solo. Altro elemento che la difesa ha rilevato è la completa smentita di un passaggio delle motivazioni della sentenza di appello che ha confermato la condanna a Zuncheddu. I giudici hanno affermato che la posizione occupata dall'aggressore nel locale “era all'interno della zona illuminata, e consentiva alla luce di porre in piena evidenza i lineamenti del suo volto, e le caratteristiche del suo abbigliamento”. Passaggio completamente smentito da una ricostruzione a 3D da parte di un colonnello dei carabinieri dell’ufficio tecniche investigative di Velletri. La stessa difesa ha effettuato l’esperimento in sede di indagini difensive: l'aggressore è rimasto nel cono di luce per soli 0,1 secondi e con la luce alle spalle. Impossibile averlo riconosciuto.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che Zuncheddu non ha mai usato fucili o pistole in vita sua, anche per un suo problema alla spalla che ha avuto fin dalla nascita. Non solo. I delitti, delle vere e proprie esecuzioni, sono stati chiaramente opera di killer professionisti. Queste e altre prove confermerebbero la assoluta innocenza di Zuncheddu e lui si è sempre proclamato tale. Nonostante ciò, in carcere, ha avuto una condotta – come scrive l’avvocato Trogu nell’ennesimo ricorso alla Cassazione per il rigetto della liberazione condizionale – “specchiata, intonsa e scevra anche della minima sbavatura”. Dall'ottenimento del primo permesso premio in avanti si è sempre dimostrato meritevole dei benefici ottenuti, non incappando mai nella benché minima violazione delle prescrizioni imposte. Dopo aver lavorato prima all'interno dell'istituto, poi all’esterno, nel 2018 è stato ammesso al regime di semilibertà. Dal 12 novembre 2020 è stato ammesso alla licenza speciale legata all’emergenza epidemiologica – purtroppo non più rinnovata dall’attuale governo - dimostrando ancora una volta una perfetta capacità di reinserimento in società secondo le regole del vivere civile.

Eppure, anche su questo fronte, la vicenda ha del surreale. Il tribunale di Sorveglianza di Cagliari per due volte ha negato la liberazione condizionale perché non confessa di aver commesso i reati per cui è stato condannato, e per la terza volta la Cassazione ha annullato le ordinanze di rigetto. Il procedimento di sorveglianza sta per compiere 4 anni, una abnormità. La Cassazione è stata chiara sul punto: il sicuro ravvedimento, parametro per ottenere il beneficio, non impone la confessione del reato per il quale si è stati condannati e si sta espiando la pena.

Come ribadisce l’avvocato Mauro Trogu nell’ennesimo ricorso puntualmente accolto dalla Cassazione, la professione di innocenza non è incompatibile con la concessione della liberazione condizionale. E ricorda il passaggio della Corte suprema dove si afferma che la nozione di sicuro ravvedimento non può implicare l’obbligo per il condannato di confessare la propria responsabilità, ma “comprende il complesso dei comportamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dal condannato durante il tempo dell’esecuzione della pena, obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del progressivo percorso trattamentale e di rieducazione e di recupero, la convinta revisione critica delle pregresse scelte criminali e a formulare in termini di certezza, o di elevata e qualificata probabilità, confinante con la certezza, un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita all’osservanza della legge penale in precedenza violata”.

Tanti, troppi gli elementi che smentiscono la sua colpevolezza. Da oltre 30 anni è in carcere, per espiare una condanna basata su una prova, di fatto, decostruita. Nonostante ciò tanta difficoltà e tanti anni per ottenere non solo il meritato beneficio penitenziario, ma anche un nuovo giudizio che gli riconosca la sua innocenza e sancisca il grave errore giudiziario.